Scrivo questo pezzo non per dare consigli di viaggio, non per raccontare. Lo scrivo perché è da mesi che rifletto, medito e rimugino sui fatti che sono avvenuti e ancora avvengono attorno a me, sulle persone e il loro modo di agire/reagire.
Ho costruito un mio pensiero al riguardo, ho trovato (credo, per ora) una chiave di lettura dei fenomeni.
Per farla estremamente breve, temo che la pandemia da Covid-19 non abbia fatto altro che accelerare processi ormai attivati da tempo.
Quali sono? Sono processi che inducono le persone a instaurare relazioni superficiali, interpretare la realtà a partire da inferenze logiche fallaci, essere incapaci di dare il giusto peso ad accadimenti e oggetti, perdere l‘equilibrio interiore con grande facilità.
Perché accade questo? Perché ormai siamo abituati ad avere tutto, subito, abbondantemente. Non sappiamo cosa significa operare scelte e rinunce; non accettiamo di buon grado nessun “No” – (NO: non è un problema ESCLUSIVO del maschio bianco eterosessuale) e, per finire, abbiamo confuso l’essere felici con l’assoluta e più completa strafottenza – lasciami passare il termine – nei confronti di chiunque, quel chiunque che mai e poi deve azzardarsi a intralciare i nostri piani. PERCHé LA FELICITA e UN DIRITTOH!11!!*!
[Nota importante: lungi da me assumere toni moralistichi, perché sono l’ultima persona al mondo a poter cianciare di morale. Intendi sempre il mio discorso come un’analisi, forse troppo soggettiva, ma pur sempre una disamina, di ciò che leggo e ascolto.]
Tutto questo preambolo introduce una riflessione che, nello specifico, riguarda la mia scala di priorità nella vita. Priorità che sono mie e non mi sognerei mai di attribuire a qualcun altro che non sia IO (misura assoluta e indiscussa di questo mondo che, diciamolo, non ruota attorno a me e manco attorno a te).
Tra le priorità che hanno assunto rinnovate fattezze c’è il cosiddetto – impropriamente – BISOGNO di viaggiare. Ed ecco perché ho intitolato questo blog post discorsivo “Come è cambiato il mio modo di viaggiare” – soprattutto e a maggior ragione dopo la pandemia da Covid-19.
Cosa significa viaggiare per me
Perché faccio fatica a chiamarlo bisogno? Perché il senso della necessità non è il medesimo in tutti. Tante persone non amano viaggiare e, tante altre, lo fanno di rado. Ma posso attribuire a me stessa la medesima logica.
Per me viaggiare non è un bisogno in senso stretto. O, per meglio dire, per me è una necessità conoscere il mondo e so bene che il viaggio rappresenta solo una delle modalità attraverso cui posso saziare la sete di conoscenza.
Lo ribadisco, dunque: viaggiare è conoscere, scoprire.
Vien da sé, se scoprissi qualcosa di nuovo a 10 km da casa mia per me avrei “per paradosso” viaggiato. Però sappiamo come funziona: se il tuo culo non poggia sul sediolino di un aereo e non hai schiaffato un timbro sul passaporto, ovviamente, NON hai viaggiato.
[Sempre in accordo con lo spirito di questo blog post che NON vuole insegnare nulla a nessuno, bensì solo chiarire un attegiamento – il mio, ovvio – poco allineato con i più, ho affermato ciò con sarcasmo.
Perdonami, ma è il mio tone of voice, del tutto spontaneo, nato in me quando il concetto che lo individua non era nemmeno parte dell’Archivio delle Nozioni della mia testolina capelluta.
Diciamo le cose come stanno, con onestà intellettuale: a me poco riguarda se per te viaggiare è (solo) andare dall’altra parte del mondo. Ci stiamo muovendo su binari paralleli e dobbiamo solo prenderne atto, così si va più tranquillamente, ognuno, nella direzione verso cui ci si vuole muovere.]
E in ogni caso il punto non è banalmente questo, poiché non ho mai affermato di non voler visitare il Giappone, New York, la California, tutto il Sud America, il Vietnam (e chissà quanto altro, Egitto e Islanda a parte).
Una cosa, però, è certa al 100%: viaggiare per me non è una fuga. Sì, e questo non me lo toglierà mai dalla testa nessuno: se si sente, costantemente, l’esigenza di “fuggire” e “scappare” da un luogo (qualcosa/qualcuno), allora vuol dire che più che essere viaggiatori, si è struzzi. E, onestamente, andare a zonzo con i problemi a casa non è il miglior modo né per stare meglio né per risolvere i problemi.
Affermo con convinzione che, anzi, tornare a casa non può che farmi piacere in ogni caso. In genere, il rientro è migliore di quanto si possa immaginare: ho nuove idee, posseggo un’altra energia, mi viene più voglia di fare. Per cui, posso dire che viaggiare è, per lo meno, un modo per ricaricare le batterie (più quelle mentali che fisiche).
Del resto, la logica è semplice: il viaggio inizia quando faccio accesso a una nuova e grande mole di informazioni che assimilo ed elaboro. Da qui in poi è tutto un riprendere a creare connessioni e relazioni. Questo è ciò che mi riempie di entusiasmo le giornate che posso ricondurre sotto la sola voce “Quotidianità”.
Ragion per cui, cosa mi è successo quando a causa delle limitazioni sono “stata a casa”? Francamente, non mi è crollato il mondo addosso (non perché non potessi viaggiare). Ho trovato nuove vie alternative alla conoscenza e continuato a muoversi su quelle che ho sempre percorso: libri, musica, documentari, tour virtuali, realtà virtuale. E poi – udite udite! -, mi sono resa conto di vivere a Napoli, in Campania, dove è tutto imperfetto, ma è tutto TROPPO.
Lerggi anche: Visita al Complesso Monumentale di Donnaregina
Ho realizzato, molto banalmente, che posso anche aspettare anni prima di rimetter piede in Sud America: ho da esperire tutte le sovrabbondanze campane. Per fortuna, le cose per il momento stan meglio di quanto previsto: in un mese solo sono stata tre volte nel Lazio e non posso proprio lamentarmi di NULLA. Posso quasi tramutare quella sovrabbondanza campana in sovrabbondanza ITALIANA – già l’Italia esiste anche quando ci si impegna a scrivere libri per diventare più noti, sul momento.
Insomma, ho presto ritrovato il mio equilibrio e, per il bene di tutti, non ho tenuto corsi di cucina né di pilates, in mancanza di articoli da pubblicare.
E lo scrivo con la proverbiale diplomazia che mi contraddistingue: mi fa piacere per chi, non appena fatta la punturina, è andato a destra e a manca; mi fa piacere per chi ha investito nei van; mi fa piacere per chi ha deciso di fare il nomade digitale; mi fa pure piacere per chi ha finto di aver cambiato vita alle Canarie (uahuahauhauahah!!!); mi fa tanto piacere per tante persone, ma:
- una casa già l’avevo e me la sono tenuta stretta stretta – e mi piace anche, guarda un po’;
- dove fa caldo 365 giorni l’anno non vivrei manco se la casa me la regalassero (e no, non voglio il van);
- il piacere della scoperta è sempre lo stesso, per me, a prescindere dalla distanza chilometrica;
- per me possono andare tutti dove a loro pare: chi è prudente lo è sempre, chi è sconsiderato lo è stato anche qui, in tutte le zone a pois e in tutti i laghi, e continua a esserlo ancora oggi.
Era necessario puntualizzare? Sì. Esclusivamente perché nessuno si fa gli affari proprio ed è giusto che i principi base della comunicazione restino sempre chiari: se vengono dichiarate cose ai quattro venti ( = Facebook, Twitter, Instagram, TikTok), c’è da aspettarsi la ricezione del messaggio e un’eventuale risposta a esso.
[Ad esempio, se non voglio far sapere dove sono e cosa sto facendo, faccio una cosa molto semplice: non pubblico.]
Non mi biasimare se per tanti mesi Instagram (soprattutto) mi è sembrato l’asilo digitale e ho sorriso assai.
Ho sorriso assai perché – e finalmente il cerchio si chiude – non ci rendiamo conto, in modo lucido, di quanto diamo le cose per scontate e di quanto sia semplice alterare i nostri equilibri, in quanto si è abituati, normalmente, ad avere tutto quel che si vuole – i voli Ryanair a prezzi stracciati, il viaggetto in Thailandia, le improvvise amnesie con conseguente disorientamento nelle “viuzze” dei borghi (se pugliesi è anche meglio), il ristorantINO CHE FIGATA gentilmente offerto per l’adv del sedicente influencer.
Perché non voglio più viaggiare come prima
Non sono una Oltredonna. Ok, i miei toni sono sarcastici e graffianti, ma sono un esserino che soffre delle proprie paturnie.
Non è che non mi sia mancato viaggiare. Non è che non mi siano pesate le restrizioni dei mesi passati. A me personalmente, ha pesato più di ogni altra cosa, non poter nemmeno vedere la mia città.
È per questo che, non appena la Campania è entrata in zona gialla, ho iniziato a visitare e rivisitare musei, palazzi, residenze, chiese, parchi. E intendo continuare a farlo – ormai è chiaro.
Nonostante questo, ho capito che esiste un modo di fare le cose che preferisco di gran lunga a quello che caratterizzava i tempi pre-Covid. Ha poco a che vedere con tutto quel che ho visto fare a tanti altri viaggiatori.
Potrei condensare tutto in due parole: lentezza e selezione.
Mi sono così affezionata a un modo di fare con lentezza e sulla base di criteri selettivi più “rigidi”, che ormai penso di non poterne fare più a meno. Perché? Perché IO vivo meglio così.
[Ad ogni modo, non è che la frenesia sia sparita dalla mia vita. Però riesco a tenerla sotto controllo, ed è già un’altra cosa.]
Come desidero viaggiare adesso
Lentezza e selezione sono le parole chiave, dunque. A cosa mi stanno conducendo? A questo, per farla breve:
- Non voglio approfittare dei voli low cost senza criterio. Potenzialmente, desidero vedere tutto il mondo, ma ci riuscirò mai? No, non credo. Esistono delle mete preferenziali, più o meno lontane, quindi budget da accantonare per poterle visitare. Non sono ricca, ho un tempo limitato, lo ha ancora più limitato Mr.S, quindi cosa si fa? Si seleziona. E sì, questo vuol dire che posso tranquillamente ignorare i voli a 5€ di Ryanair per chissà dove, pur di viaggiare. NO, NON VIAGGIARE PUR DI VIAGGIARE. Voglio viaggiare “di meno”, ma andare dove realmente desidero. Voglio realizzare un obiettivo conoscitivo, non devo fuggire da nulla e, tanto meno, mi serve un diversivo per distrarmi – posseggo tanti di quei libri e interessi, ciccio!
- Non ho voglia di vedere siti o qualsiasi altro genere di luogo solo perché “si deve”. Per dovere della cronaca, tutte le forme di “si deve” mi sono sempre state indigeste. Ora più che mai. Se il tempo sprecato è andato, allora quello che si ha a disposizione deve essere utilizzato bene: si fa quel che mi interessa davvero e basta. Gli altri possono fare quel che vogliono.
- Non voglio affannarmi. A maggior ragione, non ho voglia di far perdurare la frenesia che già contraddistingue la vita quotidiana. Partendo da una selezione di cose da fare, desidero vivere i miei futuri tour secondo ritmi rilassati. Non sono in gara con nessuno e, per fortuna, le parole per scrivere non mi mancano mai: è salvo anche il blog, sezione travel 😉
In virtù di tutto questo, è chiaro che l’atteggiamento, ai miei occhi capriccioso, di tante persone appassionate di viaggi, assunto mesi fa, non ha trovato in me alcun tipo di condivisione né di vera e propria giustificazione. Tuttavia, il mio sentire è un mistero insolubile per l’altro come per me è insolubile quello altrui.
In ogni caso, non posso non dire che non abbia assistito, per lo più, al costante riproporsi di una pretesa: io pretendo di fare, io pretendo di andare, io pretendo di vedere, io pretendo di non aspettare, io pretendo di non restare e così via.
E qui il punto, ripeto, non è tanto il desiderio di viaggiare: non è mai andato perso in NESSUNO, se non in chi non ha mai amato farlo. Il punto è che, è evidente, si fa fatica a gestire gli imprevisti, gli impedimenti, e si VIVE MALE: si fugge, ci si annoia, ci si abbrutisce.
A me non piace correre, mi spaventa la noia, non voglio essere brutta – “Vergogna!!!! Ti oggettifichi da sola, buuuuuuuuuuh!
Ecco perché ho rivisto le mie priorità.
A presto,
Bruna Athena