Scrivo sotto impulso, perché a volte anche a me la diplomazia viene meno. Il bambino indaco non m’è piaciuto affatto, nonostante sia quel genere di romanzo drammatico che, normalmente, dovrebbe piacermi. Non è una questione di stile, quindi non è colpa del come è scritto. Il problema sono la storia e i personaggi, che in me hanno suscitato una vera e propria repulsione.
Il bambino indaco ovvero lo squilibrio mentale
Il bambino indaco, romanzo di Marco Franzoso e da cui è stato tratto il film, che forse non guarderò, Hungry Hearts, l’ho trovato angosciante. Sarà probabilmente perché a 30 anni non vedo ancora raggiunta un’autonomia, il concretizzarsi di una situazione stabile: avere un figlio, attualmente, è un desiderio ancora lontano da realizzare e storie così mi irritano particolarmente.
Questo è il motivo per cui Il bambino indaco mi mette angoscia: è la storia di un bambino maltrattato da una madre che, con le migliori intenzioni – così ella crede -, lo sottopone a futili sforzi e sofferenze.
Il male possiede la madre stessa e non viene guarito da nessuno. Insomma, nessuno cerca di guarire la madre da uno squilibrio mentale, le cui manifestazioni sono evidenti. Si inizia ad agire quando ormai è troppo tardi, e perché? Per paura, ma di cosa non si sa.
Isabel, la mamma di Pietro, alias il bambino dall’aura color indaco, è ossessionata dal salutismo e dalle filosofie orientali: una “talebana”. Nel suo estremismo, perde di vista il valore della salute e diventa a sua volta una malata. Certo, il bambino si ammala naturalmente. Nel tentativo di trasmettere al figlio i “valori” che le appartengono, ne mina lo stato di salute, sconvolgendo anche l’equilibrio familiare.
Il marito di Isabel, voce narrante della storia, è letteralmente un invertebrato. Ecco che, dopo l’angoscia che sale immaginando un bambino in chiara sofferenza, cresce in me un grande senso di irritazione. Sto leggendo dell’ennesimo maschio debosciato, che non sa valutare, intervenire, già sa di non saper affrontare le conseguenze di un atto di intervento. Il marito di Isabel è impedito: lei è pazza e lui ne ha paura.
Come dovrei definire uno che per non fare incavolare la moglie, chiaramente squilibrata, lascia che vengano imposti a un neonato regimi alimentari a dir poco inadeguati? Come definire un padre che non sa difendere il proprio figlio dalla malattia della madre?
Definirlo ameba è gentile. Dire che avrei lanciato il libro fuori dalla finestra per la rabbia è dire poco.
Il bambino indaco è quello che mi piace definire il tipico romanzo italiano: tanti guai, problematiche relazionali e turbe psicologiche; uomini che fanno sistematicamente pessima figura, donne assolutamente fuori di testa. Per finire, c’è anche il solito mix di luoghi comuni Made in Italy, che fa sempre bene: la gente del Nord lavora, è tosta, ha sofferto; le madri sono ancora convinte che devono far tutto loro, educando così i propri figli/padri/mariti a essere inetti a 360°.
Di guardare il film tratto dal libro, Hungry Hearts, non se ne parla nemmeno. Alla prossima,
Bruna Athena
Una recensione molto interessante, che ha stimolato la curiosità. Credo che lo leggerò. Grazie! Buona giornata.
Buongiorno Piero, grazie per il commento. Anche le recensioni negative possono essere stimolanti e mi fa piacere!
Assolutamente sì, specie se sono redatte nell’accattivante e delicata forma con cui l’hai fatto tu.
Grazie, mi fa davvero molto piacere!
Quando ho ricevuto la newsletter ed ho letto “bambino indaco” mi sono fiondata a leggere il tuo articolo. Sono rimasta delusa, pensavo il libro parlasse del “trauma” del bambino perchè indaco, non immaginavo che dietro questo testo, invece, si celasse una vera e propria sceneggiatura che parlasse di tutt’altro. Delusa non per il tuo articolo, scritto benissimo, ma perchè ho conosciuto un bambino indaco e sono tornata un pò indietro nel tempo…. dove, ironia della sorte, l’ossessionato dal cibo, il talebano… era proprio lui, il “mio” bambino indaco….
Guarda, è da tempo che mi interesso alle problematiche legate all’alimentazione – ho l’allergia al nichel, come ti ho detto – e all’ambiente. Da anni cerco di usare prodotti cosmetici e saponi ecologici, con buon inci. Insomma, sono sensibile a certe cose, però questa storia ti mette davanti all’estremismo, all’ossessione e, peggio ancora, all’immobilità di chi non sa placare certe tendenze. Davvero irritante!
da quello che ho capito, il libro non parla del fenomeno dei cd “bambini indaco” ma solo dell’ennesima estremizzazione di un tema sentito come il salutiamo alimentare. Per esperienza personale ho fatto anche io determinate scelte alimentari che mi hanno cambiato la vita in meglio – anche se è difficile invitarmi a cena 🙂 – ma credo che leggerò il libro perché mi hai incuriosito…
Guai? Turbe? Dinamiche relazionali? Ops… Mi sa che stai parlando anche del CINEMA italiano: aiutami a dire shchifezza (alla napoletana)! Buono a sapersi comunque: il titolo mi avrebbe ispirata
Ho pensato la stessa cosa! Anche il cinema è così. Pare che se non proponi storie di squilibrio mentale non sei serio. Maròòòò!