Ho acquistato Atlante della cultura, di Antoine Pecqueur quasi un anno fa. Era il 4 settembre e proprio in quei giorni un incendio danneggiava gli uffici della casa editrice che l’ha portato in Italia: Add Editore.
Diverse ragioni mi hanno spinto a portarlo a casa con me: il formato e l’edizione; la consapevolezza che avrei contribuito anche alla ripresa della casa editrice dopo l’incidente; il sottotitolo.
Già, ho constatato che il titolo è “fuorviante”. Non intendo dire che sia stato dato al libro con l’intenzione di essere fuorviante, per il pubblico di lettori. Intendo dire che le persone si eccitano quando leggono la parola “cultura”, finendo così per guardare il dito. E la luna dov’è, allora?
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Cos’è Atlante della cultura di Antoine Pecqueur
Ecco la luna, cioè il sottotitolo:
Se pensate che Atlante della cultura sia una sorta di enciclopedia di culture e tradizione del mondo, avete proprio preso fischi per fiaschi. Questo libro è concepito per dare un’idea di come si impone il soft power, nel mondo.
Grazie a un’edizione ben curata con grafici, dati e statistiche, il libro spiega a grandi linee in che modo il potere politico utilizzi (promuova, diffonda, imponga) letteratura, musica (tanta, tanta musica!), teatro, cinema e arte (taaaaaantissima arte!) per realizzare in modo più rapido e “morbido” i propri fini.
Atlante della cultura spiega tante realtà, per ogni continente, che in fondo funzionano tutte allo stesso modo, cioè sulla base di un principio molto semplice e che funziona da millenni.
Sfruttando le arti e tutto il potenziale del sistema di valori culturali, ottiene consenso politico: le persone sono più propense a sentirsi parte del sistema di valori stesso (qualche volta questo sentire può anche coincidere con un certo orgoglio di matrice nazionalistica), appropriandosi di un genere musicale, accettando determinate modalità di fruizione delle arti figurative, chiudendo volentieri un occhio di fronte alle ingerenze dei privati (quelli con i soldi veri) nelle questioni pubbliche e così.
In questo modo, il soft power dà la percezione che tutto si faccia in nome della cultura, cioè di quella “cosa” che ci nobilita – insieme al lavoro -, ci salva, ci eleva e ci permette di deridere su Facebook tutti coloro che non sanno scrivere correttamente nella propria lingua – al massimo, segnalo, a far così si fa la figura dei cosiddetti galli sul cumulo di immondizia.
Morale della storia, il soft power ottiene supremazia economica e territoriale, facendo leva sulle propensioni più elevate delle persone: l’interesse verso le arti, per l’appunto.
Perché leggere Atlante della cultura
Confesso che ho letto Atlante della cultura con molto interesse, arrivando ad alcune conclusioni. Be’, sono abbastanza ovvie. Però, diciamo così, era necessario fare delle verifiche.
La prima conclusione è che il mondo è marcio, dal Polo Nord al Polo Sud. Ciò rende difficile, ai miei occhi, poter credere di cambiare le cose con le foto profilo di Facebook e le bandierine appese fuori alla finestra. Dovendosi scontrare con entità ben più grandi di noi, le nostre azioni non possono che essere “grandi”. Tutto il resto è chiacchiera.
Veniamo al pacifico, rilassante, tonificante e meditativo yoga. Come avremmo superato i lockdown senza le lezioni di pilates e yoga online, qui in Occidente? Ma soprattutto, come ce la saremmo cavata se lo avessero imposto a tutti, a scuola?
No, un momento. Formulata così la domanda è quasi sibillina. Te la formulo in modo diverso, così comprendi al volo. Come l’avresti presa, se a scuola di avessero obbligato a recitare il rosario tutte le mattine alle 10, in una scuola non cattolica?
E adesso immagina l’India e lo yoga imposto a tutte le scuole e alle università, anche quelle delle minoranze islamiche, per le quali è blasfemo. Amen!
A presto e tanti cari saluti al Sole!