Falsa calma, di María Sonia Cristoff (La Nuova Frontiera, 2019) è un pregevole esempio di narrativa non-fiction, in cui l’elemento autobiografico fa da collante in un corpus di storie che ci arrivano dai paesi più remoti della Patagonia argentina.
Falsa calma racconta un ritorno in Patagonia più che un viaggio. Agli occhi del lettore si apre uno scenario che ha poco a che vedere con quanto viene ritratto dalle splendide fotografie di Instagram. Siamo lontani dal Parco del Torres del Paine e da San Martin de los Andes. Nelle terre più remote delle province della Patagonia argentina, ci sono villaggi abitati da poche persone che esistono sospesi nel tempo.
Falsa calma: il ritorno nella Patagonia disincantata (e in fermento)
Nelle prime pagine di Falsa calma, María Sonia Cristoff riporta le parole di Antoine de Saint-Exupéry, che in Un senso alla vita descrive il cielo della Patagonia quando si è in volo:
Il cielo era azzurro. Di un azzurro puro. Troppo puro. Un duro sole brillava su quella terra lisa e faceva risplendere, di quando in quando, le colonne vertebrali pulite fino all’osso. Nessuna nuvola. Ma a quell’azzurro puro si mescolava, più che mai, il bagliore di un coltello affilato. (…) Al livello delle montagne stava, non una nebbia, non vapori, non una caligine di sabbia, ma una sorta di scia di ceneri. (…) Ho teso a fondo le mie cinghie di cuoio, e, pilotando con una mano, mi aggrappavo con l’altra a un longherone dell’aereo. Ed eppure navigavo in un cielo notevolmente calmo.
Attraverso le parole del pilota e scrittore francese, si comprende quanto il cielo azzurro e la terra della Patagonia siano ingannevoli, nella loro quiete. E lo stesso vale per le persone, quelle che l’autrice conosce e lascia parlare, appuntando lungo il cammino le loro vicende, delusioni e sogni che, presi tutti assieme, hanno fatto sì che nascesse Falsa calma.
Torno a ripeterlo, questo libro non è un racconto di viaggio. María Sonia Cristoff rientra nella sua terra di origine, per scavare a fondo nella tranquillità apparente di quei luoghi che non compaiono nelle cartoline né su Instagram di certo. Cammina nei villaggi della Patagonia che lavora, che perde il lavoro, di briganti, di uomini che sognano di volare e donne cresciute troppo in fretta, di ragazzini che inspiegabilmente si suicidano, di persone che rubano nei sogni degli altri i numeri per vincere la lotteria. Le storie di Falsa calma spesso sono desolanti, ma, prima di tutto, aprono gli occhi del lettore su una realtà storica che non è affatto lontana nel tempo, per quanto distante geograficamente. E, in secondo luogo, anche quando lo sguardo sul mondo dei patagonici è disincantato, non possiamo non accorgerci, leggendo, di quanto la voglia di riscatto e di vivere pienamente sia tanto latente quanto impetuosa. È questo stato d’animo ad essere paragonabile al cielo puro eppure insidioso quanto un’arma da taglio narrato da Antoine de Saint-Exupéry.
La fiction non-fiction di Falsa calma
Non ho letto abbastanza non-fiction contemporanea per inserirmi nel discorso di María Sonia Cristoff in chiusura di Falsa calma. Tuttavia ho trovato interessanti queste pagine di conclusione per poter riflettere sulla letteratura in generale e, in particolare, sul potere dell’immaginazione. L’autrice così si esprime:
Credo che ormai stia diventando chiaro che cosa non è, in che direzione non va la narrativa non-fiction che vado proponendo mentre apro il mio quaderno di appunti. Parallelamente, tentando una definizione, direi che si tratta di una forma letteraria in cui confluiscono elementi autobiografici, un lavoro con i documenti che non esclude l‘immaginazione e l’impronta di un narratore che è innanzitutto un lettore. (…) Per questo non trovo scomoda la prima persona in questa narrativa che propongo, perché non intendo con quell’io l’entrata al confessionale bensì una figura divulgatrice di letture, e di sentimenti che vengono con quelle letture. (…) Parlo, in definitiva, di altri testi, altri discorsi non ascritti alla letteratura che tuttavia cominciano a funzionare in un sistema letterario. E inoltre parlo di un narratore/lettore che legge quei documenti e non soltanto li leggi ma li ritaglia, li seleziona, li organizza, li mette in un luogo centrale o li lascia nella retroguardia, fa un collage che comincia a seguire e che contemporaneamente costituisce i passi della sua stessa ipotesi. (…) Nei quaderni di Falsa calma, e nei precedenti, (…) non mi è interessato quasi niente che non sia precisamente il lavoro con i documenti, un tipo di approccio che, mutatis mutandis, propongo di recuperare per la narrativa non-fiction.
Credo che non debba aggiungere molto altro a quanto scritto dall’autrice e che ripropongo qui, con grassetti inseriti da me per sottolineare i concetti chiave. Lungi dall’essere un diario di viaggio dai toni fortemente autobiografica, Falsa calma si situa all’interno di una zona di frontiera, in cui l’indagine (il lavoro sui documenti) apre all’immaginazione, informando il lettore e, insieme, suggestionandolo. Nella narrativa non-fiction di María Sonia Cristoff l’elemento autobiografico non è un modo per mettere al centro il narratore, ma fa da collante per tenere assieme altre storie, dando vita a un libro romanzo non-romanzo corale.
Non posso, quindi, non pensare a Chilean electric di Nona Fernandez – che tuttavia fa propria una narrazione decisamente più “onirica” – e al più schietto e puro realismo magico sudamericano.
A presto!