Ciao Sylvia,
non so bene come accostarmi a te, eppure lo faccio. Siamo più o meno coetanee, questo già mi fa un certo effetto. Mi fa strano pensarti con la testa infilata nel forno, mentre nelle altre stanze di casa tua ci sono i tuoi bambini.
Cosa spinge una donna giovane, pure madre, a compiere un gesto estremo? Non lo so, perché non ho figli, ma penso che bisogna avere dentro di sé l’inferno per scegliere di andarsene senza di loro e abbandonarli per sempre.
So che vieni da una famiglia a modo, che hai iniziato a scrivere poesie fin da bambina. Hai tentato il suicidio da giovanissima, poi però ti sei affermata come poetessa, hai sposato Ted Hughes e hai avuto due bambini. A trent’anni hai deciso di farla finita. S’è sempre mormorato che il matrimonio infelice non ti abbia di certo aiutata.
Ho letto le tue poesie, ma non mi hanno rubato il cuore. Già, con la poesia per me così funziona: parla al cuore oppure non parla affatto. Fatico a seguire i tuoi versi, che sembrano prosa fatta a pezzi. Tu stessa eri a pezzi, la tua mente e il tuo animo erano un mare di tenebra, increspato dal vento di depressione e disagio. Le tue poesie hanno un ritmo che mi stanca gli occhi, metafore e immagini sono visioni nelle quali solo a grande fatica riesco ad entrare.
Ho letto tanto di amore e di morte, ma mai come ne hai scritto tu. Nei versi dei poeti che più amo si parla della fine delle cose, del tempo che passa: è consapevolezza che tutto finisce, desiderio di vivere finché ci è dato farlo. Nelle tue poesie non c’è nulla di tutto questo, se non l’ammissione di trovare affascinante l’idea di riposare in un sarcofago, per sempre. La morte t’è simpatica, l’attendi, credi di renda davvero bella.
Capisco che l’arte spesso germoglia proprio sul terreno più accidentato, usurato e stanco. Percepisco anche che la tua lettura su di me ha un effetto non positivo: mi viene voglia di scappare da te, dai tuoi tulipani e orli. Però non voglio abbandonarti, questo no. Preferisco tenerti a distanza, magari provare a capirti. Magari imparo a non scappare.
Bruna
Difficilissimo leggere Sylvia Plath… Io mi sono sempre rifiutata, perché alcuni versi mi riportano al mio abisso. Mi chiedo quanto possa far bene toccarlo o se, invece, non si rischi la follia. La mia non vuole essere una fuga ma, forse, una protezione da verità che, comunque, sono solo una faccia della medaglia di quella cosa ben più complessa che è la vita
Be’ credo che in fondo tu abbia ragione e mi spiego meglio: la poesia svela – deve farlo – e può svelare verità che non siamo pronti ad accogliere, anche se inconsciamente le conosciamo. Per tale ragione, tendiamo a stare lontani, per ricevere in eredità qualcosa che non sapremmo poi gestire.
Esatto… Mi hai capita bene… Sono troppo debole per gestire l’ingestibile? 😀
Questo puoi inconsciamente saperlo solo tu!
Ahahaha! Non mi fare la Sylvia pure tu, ché sennò mi inquieto troppo!
Io sono moooolto sibillina 😛