De Il giovane favoloso, film su Giacomo Leopardi di Mario Martone, se ne parlava già da diverso tempo. Amo Leopardi, così quando ho saputo del film mi son subito detta che dovevo vedere il film il prima possibile (solitamente non mi fiondo al cinema, specialmente per film che potrei vedere ugualmente e comodamente a casa): così ho fatto.
Bene, sottolineo nuovamente che son di parte: amo troppo Leopardi per non farmelo piacere più o meno sempre. Cerco di essere ugualmente oggettiva, nel mio breve giudizio, a questa prima visione del film.
Martone è riuscito a rendere bene la personalità di Leopardi, interpretato da Elio Germano: gli si rinfaccia la malinconia, l’ossessione per la morte, ma è chiaro che l’unica reale ossessione leopardesca è un’altra. Quello che si vede è un uomo dall’animo grandioso, assetato di vita e soffocato, costretto da un corpo che gode di poca salute, da un ambiente familiare protettivo fino al ridicolo e conservatore. Leopardi non è un pensatore pessimista esclusivamente in virtù delle sue vicissitudini personali: questo è tipico di chi non sa cos’è la dignità. Piuttosto, il suo pensiero è raffinato, complesso e, senza ombra di dubbio, morale ed esistenzialista, nel senso proprio del termine.
Il lungometraggio procede così con lentezza, più o meno fino a quando non si vedono sullo schermo le vicende di Leopardi a Napoli. Qui il poeta inizia a vivere, ma la schiettezza napoletana ben presto diventa ugualmente un peso, un eccesso in senso opposto. Fino a quando non è quella stessa natura, in fin dei conti sempre percepita come matrigna, ad incantarlo: è la ginestra, col suo colore vivace, il Vesuvio, che gli esplode dinanzi, che lo portano a comporre una delle sue liriche migliori.
Non ho apprezzato la parte ambientata a Napoli. Certo, per noi napoletani è allo stesso modo difficile essere oggettivi verso noi stessi, più degli altri. Non posso conoscere ciò che esattamente Leopardi vide e visse nella mia città, ma trovare solo scugnizzi, poveri, prostitute, processioni e colera in compagnia del mio poeta preferito mi ha fatto sentir la puzza di luogo comune: davvero mancavano solo Maradona e Nino D’Angelo, così il quadro era completo. Sarà stato anche per me commovente- mai come la morte di Silvia– “vedere” Giacomo sulla spiaggia a due passi da Palazzo Donn’Anna, ma grossomodo di questo percorso partenopeo ho preferito solo l’ultima e finale parte: forse perché in una volta solo ho visto sul grande schermo l’immagine che ha riunito tutte, o quasi, le mie passioni- la natura, la letteratura e le stelle-?
Non so se chi non è appassionato di poesia, e in particolar modo di Leopardi, possa apprezzare questo film, ma in ogni caso ne consiglio la visione per poter conoscere indirettamente l’umanità di un personaggio che, come tanti altri, resterebbe sempre e solo sulla carta, un qualcuno di distante, un ricordo della pedanteria dei docenti di Lettere.
Buon proseguimento di navigazione, eventualmente buona visione e/o lettura,
Bruna “Athena”
Se ti va di goderti un altro bel film con Elio Germano, ti raccomando ad occhi chiusi quello di cui ho parlato in questo mio post: http://wwayne.wordpress.com/2013/12/09/un-successo-meritato/. : )
Grazie per il consiglio! Tu lo hai visto questo di Marrone?
No, lo scorso week end ho visto un film completamente diverso: The Equalizer. Bellissimo anche quello.
Già che ci sono ti segnalo anche il film di cui ho parlato nel mio ultimo post: http://wwayne.wordpress.com/2014/10/22/poveri-ma-felici/. Grazie a te per la risposta! : )
Ciao,
non sei la prima persona che parla positivamente di questo film. Probabilmente lo vedrò stasera al cinema, poi tornerò ad ammorbarti con una recensione 🙂
Bene, ci confronteremo allora! Buona visione!
A proposito della lentezza cui accenni, e che pure ho sentito lamentare da altri, non ho fatto minimamente caso a questo aspetto, al contrario, ho trovato tutto il film molto coinvolgente, nulla escluso (ma, come te, sono di parte anch’io!).
Per quanto riguarda l’ambientazione napoletana posso solo ricordarti l’espressione interrogativa del protagonista alle prese con il dialetto. Sono friulano. La mia espressione è stata pressoché la stessa.
In definitiva però l’ho trovato veramente ben fatto.
Beh il punto debole è il seguente: il napoletano poco folklororistico, distante dallo stereotipo, sente sempre il dovere di giustificarsi: quell’ambientazione, almeno a me, è sembrata troppo. Non perché non sia realistica: Napoli era questo, è questo ANCHE. Ad ogni modo, al di là di questo, pure a me nel complesso è piaciuto molto.