Re Lear, la tragedia di William Shakespeare che racconta di sanguinosi contrasti tra padri e figli.
Con la #MaratonaShakesperiana organizzata da Scratchbook siamo giunti a Re Lear. Questa era una delle tragedie di cui conoscevo non posso dire nemmeno poco: non ne sapevo proprio niente. Avrei quasi preferito non saperne. La lettura di Otello mi aveva abbastanza delusa, ma dopo aver letto Re Lear mi sono resa conto che c’era qualcosa che mi aveva deluso anche di più.
Riducendo molto all’osso, e per non fare spoiler che rechi disturbo a chi avesse intenzione di leggere Re Lear, la storia vede padri contro figli e figlie. Lear è di fatto un re ormai vecchio e decisamente non lucido: oggi diremmo, senza troppi preamboli, un uomo ormai in preda alla demenza senile. Di questo suo stato ne approfittano due delle sue tre figlie, che alla prima occasione dimostrano quanto poco affetto nutrano verso il padre e quanto siano ben più interessate al potere. La terza figlia, Cordelia, viene addirittura ripudiata: poverina, non sa prendere per i fondelli con le parole, ma nel silenzio preferisce i fatti. Ecco come si finisce quando non si ha la lingua da vipera: le storie si ripetono sempre, ma andiamo avanti!
Detto questo, posso dire quali sono le mie impressioni: ho trovato Re Lear terribilmente noioso. Davvero ho fatto fatica a terminarlo; ho imposto a me stessa, per correttezza, di completarne la lettura, ma s’era capito dalla prima scena dove si andava a parare. Re Lear m’è sembrata un’opera piuttosto prevedibile, sia nelle vicende dell’intreccio principale sia in quelle dell’intreccio secondario – la storia del Conte di Gloucester e dei suoi due figli.
Non s’intende da subito che Lear non è altro che un uomo ormai anziano e non più presente a sé stesso: in principio sembra davvero un vecchio borioso e capriccioso. Le sue due figlie sono inqualificabili da subito, non per altro per quella lingua mielosa che manifestano di possedere e che incanterebbe solo un povero ingenuo – infatti! – , mentre la storia di Edmundo ed Edgardo è banale.
Mi rendo conto che la tematica, a suo tempo, debba essere stata alla moda. Non nascondiamoci dietro ad un dito: secoli fa i figli non erano frutto dell’amore di un uomo e una donna, ma mezzi attraverso i quali mantenere un potere, una posizione, un feudo. Non mi è difficile immaginare lotte tra padri e figli, tra fratelli. Se non ho apprezzato Re Lear non è tanto per la sua tematica in sé, ma proprio per il modo in cui è stata sviluppata. Magari a furia di leggere le tragedie di Shakespeare ho fatto il callo? Può essere. Tant’è, Re Lear, dopo aver ricevuto il “la” delle prime scene, mi appariva cosa già nota. Insomma, proprio deludente. Alla prossima,
Bruna Athena