Questa è la recensione del film di Zalone: hai capito bene. Immagino che non te lo aspettassi da me, invece voglio proprio parlarti di Quo vado?
Facciamo alcune premesse, ed ecco la prima: non scriverò una recensione del film di Zalone ordinaria, non da subito. Ricordi i lettori bacchettoni? Bene, rassegnamoci al fatto che esistono anche i cinefili bacchettoni e, di conseguenza, non posso evitare di interpretare almeno una volta la parte della cinefila sarcastica. La seconda premessa è la seguente: se non mi avessero in effetti regalato il biglietto non l’avrei mai guardato al cinema e, probabilmente, nemmeno in streaming. In altre parole, prima di vederlo ero cinefila bacchettona pure io!
Cinefili bacchettoni: quelli che Zalone non nominarlo mai!
Eh già, perché noi cinefili bacchettoni ne capiamo di cinema. Noi amiamo le lacrime, il sangue e la morte. Ci depuriamo guardando i film di Clint Eastwood: da prendere almeno tre volte alla settimana dopo i pasti, prima di andare a letto. Noi cinefili bacchettoni quando siamo incazzati – suvvia, fammela passare per questa volta la parola – dobbiamo vedere sangue, ma, mi raccomando non in uno splatter: Quentin Tarantino, da assumere con cautela una volta a settimana, a stomaco vuoto. Ci sono gli amanti sfegatati di Ridley Scott, i quali non appena ripensano a Rutger Haeur vanno in orgasmo. Esistono quelli che Christopher Nolan non si tocca o chiamo Jocker – sono proprio io! I più bacchettoni che bacchettoni non si può: gli appassionati di Stanley Kubrick e di Pier Paolo Pasolini. Come? Non hai visto Arancia meccanica? Nemmeno Salò o le 120 giornate di Sodoma? Pussa via, essere spregevole! La tua presenza offende il nostro intelletto – eh sì, noi siamo intellettuali. A proposito, quanti di noi sappiamo che Eyes Wide Shut è ispirato alla famigerata opera Doppio Sogno, di Arthur Schnitzler? Credo che non debba spiegare che questo breve romanzo rientri nel filone letterario novecentesco, che ha assimilato i risultati delle ricerche sulla psicoanalisi e bla bla bla. Tutto qui è un bla bla bla, credetemi.
Noi cinefili bacchettoni, quando abbiamo realizzato che mezza Italia stava dirigendosi al cinema a vedere Quo vado?, abbiamo avuto una sincope collettiva. Il nostro disgusto ha creato un essere dotato di vita propria, assimilabile a migliaia di post feisbucchiani e cinguettii vari; un essere che urla al degrado e alla vergogna. Tutti a vedere Zalone, che schifo! Posso sentire Catone dal Purgatorio che si aggiunge al coro: oh, mores!
Va bene dai, torno seria.
Recensione del film di Zalone: ora davvero parlo di Quo vado?
Ad un certo punto una recensione deve pur assumere un tono dignitoso, direi che sia il caso che torni ad essere una blogger seria. Non mi va di parlare sul degrado della televisione, del cinema e via discorrendo, perché in fin dei conti la mia opinione al riguardo è riassumibile in pochi concetti:
se qualcosa non ti piace non lo guardi, ognuno è libero di fare quel che vuole e non sei nessuno per ritenerti superiori agli altri.
Detto questo, devo ammettere che da “bacchettona” mi aspettavo un film molto più demenziale, un’accozzaglia di scenette comiche, messe assieme per dare vita ad una storiella che piacesse ai più. Quo vado? è un film che cresce sull’impalcatura dei luoghi comuni italiani, che in una certa misura rispecchiano una realtà di fatto. In Quo vado? i suddetti luoghi comuni sono tutti piuttosto esasperati, per ricreare l’effetto comico, ma non ce n’è uno che non corrisponda al vero.
In altre parole, Zalone non ha fatto altro che portare sul grande schermo l’italiano medio: maschio, sessista, opportunista, piuttosto ignorante e, finché può, abbastanza incivile. Niente di nuovo, ma vogliamo forse affermare che la stragrande maggioranza dei maschietti italiani non ha ancora la mammina che stira e cucina per lui? Vogliamo forse dire che certa emancipazione femminile europea in Italia ce la sogniamo, per il momento?
Il pezzo forte di Quo vado? però è l’ideale del “posto fisso”, il luogo comune meno comune. Mi spiego meglio: è risaputo che per anni, nel settore pubblico, i dipendenti hanno fatto quel che cavolo volevano, ma nell’immaginario comune il posto fisso è ancora il sogno di molti. Per questo è un ideale, ossia un’idea difficile da sradicare dalla testa. Che ci sia di nuovo lo zampino di Nolan? Forse è la vendetta di Leonardo Di Caprio, ancora privo di Premio Oscar?
Sta di fatto, il posto fisso è, PURTROPPO, soprattutto il sogno di quasi tutti i genitori di noi trentenni. Noi stiamo cominciando a capire che il posto fisso, come il contratto a tempo indeterminato, ormai è “fortuna” di pochi eletti. Essendo giovani, abbiamo la capacità di essere propositivi, di pensare ad altre vie per ottenere più o meno lo stesso risultato: una forma di indipendenza che, si rassegnino mamma e papà, ha poco a che vedere con la stabilità che ha accompagnato loro nei primi anni di matrimonio.
Oggi vedo coppie giovani iniziare un percorso di vita comune senza avere nemmeno la metà delle certezze e della disponibilità economica che possedevano i nostri genitori, nei tempi che furono; sono persone giovani che si sono stufate della loro condizione e preferiscono fare un salto nel buio, per stare insieme: e forse fanno bene così. Per cent’anni, uagliù!
Con questa recensione del film di Zalone, voglio semplicemente dire che è vero che c’è cinema molto più impegnato, che io stessa apprezzo maggiormente, ma c’è anche una forma di comicità che, tutto sommato, può parlare indirettamente a tutti.
Questo non è un film di Benigni, tuttavia non è un cinepanettone classico. Ecco, sono bacchettona: Boldi e De Sica nemmeno in streaming, senza ombra di dubbio.
Quo vado? è una storia semplice, alquanto prevedibile, che a suo modo può far riflettere, e ha un finale parecchio edificante: è alla portata di tutti, ti fa fare qualche risata, senza essere volgare. Questa assenza di volgarità è fondamentale: non è semplice fare una fotografia dello stato di cose e riderci sopra senza scadere nelle ovvie scurrilità in stile Walter e Jolanda.
Mi rendo conto che buona parte del pubblico di Zalone non sia nemmeno capace di cogliere gli spunti di riflessione che il film può offrire, ma sono sicura che c’è una fetta di pubblico capace di farlo. In conclusione, non credo che il film di Zalone sia assolutamente da vedere, né che lo si debba vedere per forza al cinema, ma non è quel prodotto così demenziale da meritarsi una critica tanto saccente. Questa forma di comicità non sarà di certo il massimo per trattare di tematiche d’attualità, ma fa pur sempre fare due risate che ti lasciano un po’ di amaro in bocca: in questo caso tale caratteristica è proprio un pregio. Ciao!