Desidero parlarti di Medea. Voci, di Christa Wolf, libro che in Italia è stato pubblicato da EO Edizioni. Trovo che la sua lettura possa essere utile a chi opera nell’ambito della comunicazione o inizia a studiarne le dinamiche. In questo secondo caso, sarebbe come essere gettati in medias res: uno studio “rischioso”, ma suo modo efficace.
Questo piccolo libro fa due cose interessanti: racconta la stessa storia da diverse prospettive, che si alternano costantemente, e mostra come e perché si ricorre a uno degli espedienti comunicativi più d’impatto in assoluto. E tutto ciò dimostra ancora una volta quanto la narrativa sia indispensabile per i comunicatori – per me lo è, ecco.
Medea. Voci: come cambiare punto di vista
Non solo dei manuali dei grandi copywriter e dei fantasmagorici guru del marketing vive l’uomo. Quale uomo? Quello si occupa di Marketing&Comunicazione. Certo, anche le donne, i cani, i gatti e gli unicorni. Insomma, la persona che ha tanto desiderato perdere la testa con piani editoriali, strategie, copy e compagnia cantante. Quelle robe che la Zia-Attempata-che-tutti-noi-abbiamo proprio non riesce a comprendere.
[Attenzione!!! Se lo desideri, puoi leggere lo scambio di battute tra il IoCopy e Zia Attempata. Si trova in fondo a questa non-recensione.]
Ne sono sempre stata intimamente convinta, ma le ultime (ottime letture) mi hanno dato la conferma: leggere narrativa è fondamentale per i comunicatori e per i copywriter ancora di più.
Hanno contribuito anche le ottime letture condivise, condotte da oltre un anno a questa parte, a convincermene. Ottime letture non solo perché le storie ci hanno dato molti spunti di riflessione, ma sono state davvero ispiratrici. Ne è venuta fuori una collaborazione tra Antonio Tirelli e me: di alcuni libri letti insieme, lui ha disegnato le copertine alternative e io ne ho scritto le quarte.
In genere pubblichiamo su LinkedIn, in questo post trovi quel che abbiamo pensato per Pastorale americana, di Philip Roth. Qui in basso, invece, c’è la copertina pensata per Medea. Voci. Credo che ad ora sia la mia preferita!
Tornando al libro, la mia prima esperienza con Christa Wolf mi ha anche ricordato perché sono più propensa a consigliare la lettura di Medea. Voci che il tanto (troppo) citato Le città invisibili, di Italo Calvino. Ok, non ho mai amato Calvino, ma il punto non è questo.
Il punto è che quanto fatto dalla scrittrice tedesca può essere davvero oggetto di studio. Non è un caso che il titolo del libro indichi esplicitamente la presenza di voci. Di sicuro, ciò rappresenta un elemento di continuità con l’opera di Euripide: la tragedia Medea è stata concepita per il teatro. Se hai letto opere teatrali, dovresti sapere che si usa indicare, di volta in volta, il personaggio che parla sulla scena.
Ma le voci della Medea di Christa Wolf sono capitoli, in primo luogo. Ed è un po’ come dire che ogni capito è un punto di vista. Tutto qui? E no! Si tratta di una questione di stile, qualcosa di molto più complesso e raffinato. Immaginare persone, luoghi e contesti differenti, quindi descriverli, è sicuramente un lavoro complesso. Ecco perché non intendo sminuire Le città invisibili.
Ma figurarsi una voce (= personaggio), cucirgli o cucirle addosso una visione del mondo, conferire a tale personalità uno stile comunicativo distintivo è ben più complicato, più rischioso.
Azzardo un paragone musicale: un conto è saper suonare un strumento e riuscire a comporre un brano per quello strumento, un altro è scrivere lo spartito per un’orchestra intera, dando a ogni strumento la sua parte, la sua “personalità”.
[Sì, vabbè: è il tone of voice.]
Medea parla come Medea. Giasone parla come Giasone. Acamante parla come Acamante. Sono forse queste tautologie costruite male? No. Si chiama coerenza, si dice che si ottiene con gli esercizi di stile. Certo, osserva pure che esiste Raymond Queneau. Mica l’ho dimenticato, per chi mi hai presa? C’è dell’altro, ti dico.
Un’opera (di comunicazione) politica
Ha smosso gli eserciti guidati dai condottieri. Ha permesso alle idee di rivoluzionare le società. Ha giustificato le “soluzioni finali”. Ha lavorato, come macchina del fango, per distruggere la reputazione di uno e per risollevare quella di un altro. Cos’è?
Oggi lo chiamiamo storytelling. Dall’alba dei tempi, è la capacità di abili comunicatori (talvolta manipolatori) di impacchettare storie ad uso e consumo dellepersone, per conseguire fini politici. Nelle storie figurano gli eroi e gli antieroi: i primi agiscono per il bene della società, i secondi tramano contro di essa.
Ma sarà vero? Più che altro, sappiamo che le genti sono più propense a credere a storie apparentemente plausibili, che forniscono spiegazioni semplici per descrivere ciò che accade e stimolano forme di sentire molto primitive. Non importa quale sia la verità, importa che le persone si sentano al sicuro, vedano puniti i cattivoni e premiati i buonissimi.
Bene, questo è lo storytelling politico. Quando lavoriamo per le aziende, ci basta immaginare il viaggio dell’eroe e farlo terminare nei migliori dei modi. Morti e feriti non ci interessano. Però credo che sia un dato di fatto: lo schema comunicativo su cui si fonda lo storytelling è antichissimo e le sue più brillanti applicazioni sono politiche.
Medea. Voci mostra i passaggi fondamentali della creazione di una storia che, voce dopo voce, fa di Medea una maga e madre infanticida che invoca la sciagura su Corinto.
Visto come è confezionata bene, la storia? Chi non innorridirebbe al pensiero di una madre che uccide i propri figli per vendicare le scappatelle del marito? Sono uomini, si sa. La mamma è sempre la mamma, però. Che orrore!
Leggerlo nei manuali di marketing e/o copywriting è una cosa. Seguire passo passo l’opera di costruzione della storia è proprio un’altra. In questo secondo caso, gli espedienti comunicativi e le leve emotive utilizzate sono chiari. Una lettura lucida e attenta e, allo stesso tempo, scandita anche da picchi emotivi permette di trarne davvero una lezione di comunicazione utile.
Concludo con alcune osservazioni correlate. Nel corso della lettura, mi stavo convincendo che la reinterpretazione della tragedia greca di Christa Wolf fosse di taglio femminista. Chiaro, di un femminismo direi quasi “classico”, distante dagli -ismi dei tempi che corrono e dai quali, talvolta, sento la genuina necessità di distaccarmi.
Poi ho cambiato idea. Per meglio dire, ho capito che parlare di interpretazione femminista sarebbe stato riduttivo. Per l’appunto, il valore di Medea. Voci è più ampio, perché è un’opera politica. Ed è vero che tendenzialmente è più comodo far passare un soggetto (percepito come) debole come cattivo capro espiatorio. Ma credo che sarebbe ottuso voler vedere Medea come esempio di oppressione femminile. Ai miei occhi, Medea rappresenta tutte le vittime della macchinazione politica.
Ti saluto. E dopo i saluti c’è il dialogo un po’ immaginario e un po’ no tra IoCopy e Zia Attempata.
Un’appendice per far sorridere
Il pranzo di famiglia procede come al solito. Le chiacchiere familiari si spiegano animatamente attorno alla tavola imbandita, agli spaghetti con le vongole, alle salsicce con i broccoli, alle patate in padella e insalata, il babà che avrei voglia di gettare dalla finestra. Perché, IoCopy, lo detesto e avevo espressamente chiesto la sfogliatella.
Ma risolviamo un problema alla volta. Osservo Zia Attempata, che fino ad ora s’è solo lamentata dell’umidità e del reddito di cittadinanza. Vedo in lei qualcosa di diverso…è la consapevolezza che io, IoCopy, esisto! Eccola, si sta girando verso di me! Mi fingo morta? Troppo tardi. Prendo una lunga e intensa sorsata di vino.
Zia Attempata: << E tu cosa stai facendo? Sempre quelle cose che fai tu?>>
Un omaggio all’accuratezza linguistica. Sento la voglia di risponderle che ovviamente mi gratto, dall’alba al tramonto e con soddisfazione, soprattutto lì dove le mode (auto)impongono un certo decoro in fatto di peluria. Il rigurgito al sapore di mitili e prezzemolo, innaffiati di Falanghina dei Campi Flegrei, mi muore nella gola. Sono IoCopy, nell’arco di un nanosecondo elaboro una risposta alternativa.
IoCopy: <<Faccio sempre il mio lavoro: mi occupo di comunicazione digitale.>>
Sono in quella fase della vita lavorativa in cui l’ingenuità è solo un ricordo. So che la domanda non è ingenua. Guarda che faccia! Non sa se fare solo la snob oppure fingere compassione.
Zia Attempata: <<Eh, mica guadagni con quelle così lì?>>
Il rigurgito sta tornando e questa volta sa di parolacce. Non ho intenzione di mascherare il fastidio.
IoCopy: <<A dire il vero ho la partita iva e un reddito. Pago le tasse. Mi pagano per quello che faccio.>>
Visto? Sembra incredula, ma in fondo ci è rimasta male. Ci vuole un po’ per rispondere, eh, mummia rinsecchita?
Zia Attempata: <<Eh, ma io non ho mica capito cosa fai.>>
IoCopy: <<Scrivo testi per il web.>>
………
IoCopy: << Scrivo testi per Internet per conto delle aziende.>>
……… (sì, godo nel farla sentire un’ignorante.)
IoCopy: <<Hai presente tutte quelle cose che leggi sui siti internet, nelle appl….>>
Vabbè, a scanso di equivoci la prossima volta la sfogliatella me la compro io.
Arrivederci al prossimo pranzo di famiglia 🙂
Devo leggere il libro, ma concordo sul fatto che chi comunica, anche solo per se stessi, come me, debba leggere tanta narrativa. Lo faccio e non potrei fare senza tutti questi molteplici punti di vista.
Vedo che hai scritto anche riguardo a Ogni mattina a Jenin, un libro che ho amato e amo e che mi ha presentato altre voci sulla questione. Ora leggo il tuo pensiero.
Sono davvero felice di aver trovato qualcuno che condivide il mio pensiero al riguardo. Trovo che la narrativa dia spunti utilissimi, quando sa il fatto suo. Di “Ogni mattina a Jenin” ho scritto tanto tempo fa, quando ancora non conoscevo le dinamiche della scrittura digitale, e si nota. In quel caso, si nota una scrittura acerba, ma il mio pensiero sul libro nella sostanza non è mutato. Grazie Dalila e buona giornata.