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L’arco di distorsione nella comunicazione digitale

Arco di distorsione nella comunicazione digitale

L’arco di distorsione è un fenomeno che ha luogo in tutte le forme di comunicazione. È un fenomeno relativo al come viene inteso davvero il messaggio da parte di chi lo riceve. Non a caso si parla di distorsione: è un po’ come dire che qualsiasi messaggio, al di là delle nostre volontà di mittenti e destinatari, subisce una variazione e viene colto solo in modo parziale.

Per forza di cose, la distorsione del messaggio non è un fattore trascurabile, per chi si occupa di comunicazione. Essendo un fenomeno connaturato in ogni processo comunicativo, si verifica anche in ambito digitale e, talvolta, anche con effetti collaterali importanti.

Non è sempre (e solo) colpa dell’analfabetismo funzionale, se il messaggio non viene inteso come vorremmo. L’arco di distorsione esiste e bisogna quanto meno impegnarsi a ridurne gli effetti, nei limiti del possibile. Come? Mi cimento in qualche esperimento che condivido con te.

Cos’è l’arco di distorsione?

Nell’ambiente digitale, l’arco di distorsione è una presenza ingombrante. E si spiega subito il perché: nel web, la comunicazione è principalmente scritta e le persone non hanno la possibilità né di ascoltarsi né di osservarsi.

Quando condividiamo un messaggio utilizzando mezzi come blog e social network, confidiamo sulle potenzialità della comunicazione verbale, utilizziamo degli escamotage per sfruttare gli elementi della comunicazione paraverbale, siamo in assenza di comunicazione non verbale.

Giusto per fare un esempio molto semplice, in chat private e nei post (Facebook, Instagram, quel che sia) siamo portati a utilizzare le emoji. Esse accompagnano i nostri testi e, in qualche modo, lasciano intendere il tono con cui condividiamo un messaggio. Non tutti amano usare le emoji, non sempre sono utili per chiarire se stiamo scrivendo in tono serio o ironico. Per l’appunto, rappresentano un escamotage e non sono perfette.

Quando abbiamo imparato a scrivere, però, a scuola i maestri ci hanno spiegato il valore della punteggiatura e del lessico. La comunicazione scritta possiede le proprie strategie per veicolare un messaggio che, con il suo tono e il suo ritmo, sa dire ciò che deve dire – e la distorsione avviene comunque, niente paura.

Nonostante l’utilizzo (corretto) della punteggiatura, del lessico ed eventualmente delle emoji, nella comunicazione digitale gli effetti dell’arco di distorsione sono amplificati, spesso imprevedibili, talvolta ingestibili.

Secondo quanto riporta il manuale, l’arco di distorsione ha inizio dal mittente, il quale riesce a esprimere solo il 70% di ciò che vuole dire. Per quel che riguarda il destinatario:

  • recepisce solo il 40% del messaggio;
  • ne comprende il 20%;
  • ne ricorda il 10%.

Vuoi dire 10, dici 7, l’altro riceve 4, comprende 2 e ricorda…1. Bello, vero? Insomma, nessuno ci capisce un cavoletto belga e su quel che ricorda possiamo stendere un velo spesso un dito di discussioni online inutili, frustranti, logoranti. E questo lo sanno bene i social media manager, ma anche tutti coloro che utilizzano blog e social network per comunicare.

Di fatto, i copywriter dovrebbero essere piuttosto allenati a fare i giochi di prestigio con le parole. La versione romantica dei fatti ci vuole narratori di storie. La verità è che ci tocca scrivere testi che catturino l’attenzione, si facciano ricordare e portino le persone ad agire (sappiamo in che senso, no?). Nel concreto, questo “lavoro” lo fanno tutti coloro che utilizzano Facebook o LinkedIn per promuoversi, per fare rete, per fare le care vecchie pubbliche relazioni. Magari non vendono prodotti, ma servizi sì: vendono sé stessi. E poi, non ci sono solo i social network. Ci sono le newsletter, ci sono le applicazioni mobile, gli e-commerce…

Insomma, il panorama è ampio e di romanticismo non ce n’è neppure l’ombra. Stando così le cose, parlare di arte per l’arte risulta addirittura stucchevole. Eppure dobbiamo pur dire e far capire qualcosa, no? Ragion per cui, i già citati escamotage comunicativi vanno necessariamente utilizzati, per amor di chiarezza e per assestare a quel maledetto arco un bel sinistro. E ora, finalmente, passo alla parte che mi piace di più: fare gli esempi – o esercizi, chiamiamoli come ci pare.

Gli effetti dell’arco di distorsione nella comunicazione digitale

La premessa iniziale teniamola fissa in mente: ci sforziamo di essere chiari e inequivocabili, ma ciò non estirpa del tutto il male della distorsione. In altre parole, non possiamo pretende di essere compresi da tutti. Inoltre, sarebbe un’impresa velleitaria quella di voler impedire alle persone di interpretare un messaggio secondo il proprio punto di vista.

Di seguito, ti mostro degli esercizi di scrittura. Ho provato a mettere a confronto delle varianti di testo, per mostrare come si può dire, in diverse forme, la stessa cosa. Sono esercizi che eseguo da mesi sul mio profilo LinkedIn. In altre parole, benché il messaggio resti invariato, la ricezione dei testi cambia profondamente, anche se non è solo una questione di tono, lessico e ritmo.

Nel primo esempio che ti mostro, ho provato a “riscrivere” un testo, traendo spunto da un post sponsorizzato di Facebook. L’azienda che ha pubblicato l’adv è Repeat, brand che produce slip mestruali. L’idea di riscrivere il testo mi è venuta in mente dopo aver letto alcuni commenti al post. Infatti, qualcuno ha espresso la propria perplessità per una specifica scelta linguistica – oddio, fatico a definirla tale!

In questo esercizio di redazione, ho provato a utilizzare espressioni che potessero sostituire “Stanch*”, la parola che ha generato lo scambio di commenti che trovi nello screenshot a destra. Le mie proposte sono state le seguenti:

  • Mai più vestiti macchiati!
  • Non vogliamo più vestiti macchiati!
  • Vestiti macchiati? Niente paura!

L’arco di distorsione che ha generato le reazioni nei commenti ha a che vedere con le intenzioni del post, più che altro. Infatti, dubbi sul senso del messaggio non ce ne sono: il copy esprime un’idea chiara e semplice -> utilizza gli slip mestruali e non avrai più problemi!

Le perplessità nascono nel momento in cui, attraverso l’utilizzo di “Stanch*”, si lascia intendere che gli slip siano pensati non solo per le femmine cosiddette tali (le persone dotate di apparato genitale femminile, che si percepiscono come femmine). In altre parole, “Stanch*” tiene conto della fluidità che contempla i transgender e anche coloro che, pur in possesso dell’utero e delle ovaie, non aderisce allo schema sessuale binario maschio/femmina.

Nonostante ciò, la scelta a favore di “Stanch*” non ha del tutto colto nel segno e qualcuno si è sentito di osservare che solo le femmine hanno il ciclo mestruale, quindi “Stanche” sarebbe stata la scelta lessicale più appropriata. Bel problema, vero? Come evitare la distorsione delle intenzioni? Con espressioni alternative. Ad esempio, quelle che ho proposto poco sopra.

Nel prossimo esempio, invece, ti mostro 2 ipotetici esempi di testo per una scheda prodotto di un e-commerce. Ho tratto spunto da una scheda di un prodotto esistente (che uso, tra l’altro) e ho proposto le alternative, allo scopo di chiedere agli utenti di LinkedIn quale dei 2 testi fosse il più adeguato per la pubblicazione in uno shop online.

Sono sicura che chiunque riuscirebbe a esprimere una preferenza per uno dei due testi. Tuttavia, pur essendo questi estremamente brevi e semplici, sono stati in grado di vedere una forte distorsione. Anche in questo caso, l’arco di distorsione ha scoccato la sua freccia micidiale in direzione delle intenzioni. Qualcuno ha ritenuto il prodotto poco vendibile; qualcuno ha avuto da ridire sulle espressioni utilizzate, in riferimento agli ingredienti.

Per quel che riguarda la vendibilità del prodotto, ho poco da dire. Infatti, un prodotto come quello descritto esiste e si vende (ne sono la prova). Non ho voluto fare un’indagine di mercato, soprattutto. Nell’introduzione all’esercizio di scrittura, non ho affatto chiesto un parere su quanto fosse appetibile il prodotto in sé per il pubblico. Il problema, infatti, non me lo sono mai posto: sono una copywriter, non una product manager.

Per la medesima ragione, le osservazioni sulla provenienza degli ingredienti sono ancora più fuori luogo. I miei testi sono esempi e non sono proposte per un lavoro realmente affidatomi. L’aderenza alle linee guida definite da una normativa in fatto di etichette e di schede prodotto è importante, ma quando si fa sul serio – non era questo il caso.

Il terzo esempio anche trae ispirazione da un testo reperito in rete. Questa vota, ho voluto rielaborare le informazioni relative alla storia del luogo in cui, oggi, sorge il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa.

Nella sostanza, il testo A e il testo B dicono sempre e solo la stessa cosa. Per l’esattezza, raccontano la stessa storia. Eppure, sono stati recepiti diversamente. Qualcuno ha trovato il testo B troppo contorto. Posso dire con certezza, però, che il testo B è redatto in modo corretto, ma le strutture sintattiche sono solo più elaborate.

Al contrario, per il testo A ho optato per scelte sintattiche più lineari. Non mi stupisce che qualche lettore abbia visto in A un testo più chiaro e qualcuno abbia trovato B più raffinato; allo stesso modo, non mi turba che altri abbiano visto in A un testo per “sempliciotti” e altri abbiano trovato B “pesante”.

Il punto è che le nostre percezioni sono in ogni caso distorte. La distorsione può riguardare il contenuto in sé del messaggio oppure le intenzioni con cui lo abbiamo diffuso. Ad ora, il fenomeno che si verifica più di frequente riguarda le intenzioni. Con gli esempi e le reazioni ai post di cui ti ho parlato, ciò è dimostrato.

Per farla breve, mediamente le persone comprendono ciò che leggono, ma lo interpretano attribuendoti finalità che non hai, idee che forse non ti appartengono, giungono a conclusioni fuori dagli schemi logici, cercano di dirottare le discussioni su problemi che non hai posto (sono pseudo problemi, spesso).

Comunicare sta diventando un affare molto più serio e molto più complicato di quanto si possa pensare. I fraintendimenti non riguardano più il cosa e il come (es. “Applica il codice sconto ESTATE20 per ottenere il 20% di sconto sul tuo prossimo ordine”), ma riguardano il perché. Così:

  • Stanch* non accontenta chiunque – è vero, ma per altre ragioni sulle quali ora non mi esprimo;
  • il burro di karité è ottimo, ma non c’azzecca niente con una scheda prodotto funzionale;
  • una sintassi elaborata è giudicata con sospetto, ma in realtà non rende affatto un testo meno chiaro – se ci si abitua a leggere testi che semplificano banalizzando, purtroppo iniziamo a perdere la capacità di distinguere ciò che è sofisticato e ciò che è davvero poco chiaro.

Per concludere, posso affermare che sono giunta a una consapevolezza: siamo quasi tutti obbligati a semplificare i testi grazie a una scelta di volta in volta ponderata del lessico e delle strutture sintattiche da utilizzare. Tante volte, però, siamo anche costretti a esprimere in modo esplicito anche le nostre intenzioni. Magari, il 20% dei nostri lettori non le fraintenderà – so per certo che accadrà comunque, ma ci mettiamo la buona volontà. A presto!

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