A cosa mi riferisco quando parlo di quello che i blogger non dicono? Non parlo di trucchi né di formule magiche. Piuttosto, mi riferisco a ciò che sappiamo TUTTI e che non vogliamo dire: perché sembra brutto, perché abbiamo un orgoglio, perché (magari) non vogliamo ammettere che dovremmo riflettere meglio su cosa facciamo, come lo facciamo e in che modo ci soddisfa. È un altro dei miei blog post sopra le righe? Sì, ed è pure lungo. Buona lettura 😉
Cose che i blogger non dicono: riflessioni sul blogging
Periodicamente, amo tirare le somme e mettere nero su bianco qualche considerazione sullo stato del blogging attuale. Chi mi conosce (bene) lo sa: mi presento come web writer, perché lo sono. Nasco come blogger, però, e mi sono data questi natali con consapevolezza, con molta passione e convinzione.
È ormai da tanto tempo che rifletto a proposito del blogging. Certo, lo faccio muovendomi sempre seguendo due direttrici, ossia quella personale e quella professionale. Il risultato è che, talvolta, raggiungo mete (conclusioni) molto differenti. Qualche volta non accade, come in questo caso.
I due anni di pandemia hanno dato un’ulteriore spinta alla riflessione, ma qualcosa dentro di me era in movimento già dal 2019. Come nei sistemi vulcanici, il magma da qualche parte sta e si muove. Ora mi sembra arrivato il momento giusto per dare un’espressione compiuta ai miei pensieri, che vado elaborando da anni. Pensieri, i miei, che ho voluto provocatoriamente ricondurre sotto l’espressione “quello che i blogger non dicono” – la vita è triste senza la provocazioni.
Senza i social network un blog è uno zombie
Ebbene sì, senza la spinta dei social network i blog sono dei morti che camminano. Cosa intendo dire? Intendo dire che o il tuo blog è “vecchio” e allora tutti ti conoscono (magari anche offline, ed è la cosa migliore) o è “giovane” e non puoi pensare di:
- evitare le condivisioni sui social network;
- evitare di avere profili/pagine social, addirittura.
Tempo fa, ho scritto a proposito dei social network più performanti per i blogger: tutto quel che ho riportato resta valido, secondo me. Però devo completare il discorso: qui non si tratta solo di condivisioni sui profili, le pagine, i gruppi e via dicendo.
In realtà, non è la scoperta dell’acqua calda, per più di una ragione. In primo luogo, conta esserci: a volte basta solo interagire, darsi alle più tradizionali public relation per ottenere notorietà. In secondo luogo, è ormai da tempo che le aziende preferiscono chiedere post sponsorizzati su Instagram (poi anche TikTok) che link negli articoli. E dire che advertising e link building sono due azioni di marketing molto differenti, entrambe funzionali per il raggiungimento di obiettivi diversi, anche se correlati.
E sono cambiate, profondamente, le opportunità: molte agenzie contattano i blogger con la leva del post sponsorizzato per poi rivelare, a contrattazione avanzata, che non hanno fatto altro che mettere in piedi un marketplace al quale siamo cortesemente invitati a iscriverci. Oppure le aziende ci offrono le affiliazioni. Questi sono meccanismi che possono anche funzionare, ma a determinate condizioni.
Trasferitasi altrove l’attenzione delle aziende e dei potenziali partner, ecco che: le travel blogger sponsorizzano creme viso e carte prepagate; le donne in gravidanza (al di là del tema del “blog personale su Instagram”) ci mostrano i pannolini gentilmente offerti; i blogger non so, ma se vanno in palestra, praticano sport estremi e ci sanno fare con le videocamera forse qualcosa pure racimolano.
Per tutti gli altri è diventato un INCUBO social fatto di: metti tot cuoricini ai post, ma non troppi, altrimenti vuol dire che sei un bot; lascia commenti ai post di tutti, così loro commentano te e non risparmiare sulle emoji essenziali (sì, perché se sono troppe sempre sospettoso è); sii gentile anche con gli analfabeti funzionali, che si ostinano a commentare senza leggere/comprendere le caption; guarda le Storie, altrimenti le tue non le guarda nessuno; pubblica i Reel, perché ormai lo sanno pure le pietre che il futuro di Instagram è diventare un altro TikTok; inutile che ci provi: su Facebook s’ha da sponsorizzare, per Zeus, e va ribadito!
Per fortuna, mi sono svegliata.
I contenuti utili e di qualità non interessano a nessuno
Ah, nel frattempo ci siamo anche inventati il “Salva il post”, come se non venisse spontaneo, a una persona sana di mente, appuntare (in qualsiasi forma) ciò che effettivamente è interessante. Ci siamo inventati i saltelli, lo schioccare di dita e, cosa più raffinata, le riprese con il drone.
Facciamo un passo alla volta. In primo luogo, diciamo le cose come stanno: se le piattaforme premiano sensazionalità e divertimento, è perché essi intrattengono. Anzi, dovrei dire che trattengono le persone sulla piattaforma.
Qualsiasi social network non se ne fa niente di qualità e utilità, perché batte cassa con l’advertising. E più siamo disposti a fare fesserie e condividerle con il “pubblico” più intratteniamo, quindi tratteniamo di più e gli algoritmi ci premiano.
Ragion per cui, a Instagram e TikTok non importa nulla se hai passato ore a scrivere un blog post, per renderlo leggibile, esaustivo, magari godibile. A loro interessa che le persone restino dentro la piattaforma, che vedano quanta più pubblicità è possibile. Che tu lo faccia con la qualità o che tu lo faccia ricoprendoti di ridicolo, è indifferente.
Tuttavia,come due nobili decadute, Contessa Utilità e Marchesa Qualità ci sono ancora, però sono a-social. Sappiamo tutto di loro: dove sono, quando appaiono, di cosa e, soprattutto, come amano parlare.
Però possiamo farne a meno, il più delle volte. Tutto questo è legittimo, per carità, ma non riesco ad apprezzarlo. Come avrei potuto, del resto? Non è nemmeno il “problema” della pubblicità, il mio. No, è qualcosa di più sottile: mi sono stufata di venire dopo persone che scrivono con disattenzione, confondono l’Oceano Atlantico con il Pacifico, ridono sempre come se avessero una paralisi mandibolare, fanno finta di cambiare vita* girando il mondo da nomadi digitali. Confesso che il non plus ultra del ridicolo s’è avuto poco più di un anno fa, quando sono state scoperte le Canarie, quando erano tutti troppo frustrati perché NON VIAGGIAVANO.
Quando ho compreso che non ci sto alle sculacciate dell’algoritmo, che mi punisce perché per qualche giorno non ho interagito; quando della sciatteria altrui ne ho piene le ovaie; quando ho un lavoro e una vita; quando ho fatto l’esperienza della morte delle persone care; ebbene, quando ho ripreso a soppesare le cose, mi sono detta: Bruna sei una cavolo di a-social, nonostante tutto.
[Possiamo cercare, trovare e adottare un sinonimo di “nicchia”? Ormai per me le nicchie sono solo quelle del cimitero. Ci penso, dai.]
*magari, impariamo anche l’onestà intellettuale: diciamolo che abbiamo i le case in affitto, evidentemente in famiglia stanno tutti bene (e per 100 anni, per carità), siamo single (e la cosa ci pesa, soprattutto quando siamo femmine e abbiamo raggiungo i 40, ma si chiama “legittima difesa”), probabilmente abbiamo un altro lavoro che davvero ci dà da mangiare.
Se Instagram è la tua vita, hai bisogno dello psicologo
Ma perché tutte queste considerazioni sui social network, se si trattava di parlare di blogging? Be’, ogni parte è in connessione con il tutto: se blogger è colui/colei che riscuote un certo successo sui social network, è ovvio che il modo di fare blogging cambi radicalmente. In effetti, questo l’avevo già scritto. Non dobbiamo nemmeno parlare di ottimizzazione per il motore di ricerca, se qui si va cercando la reach dei post grande quanto il Colosseo
Sì, lavori anche adesso. Voglio dire che stare dietro ai capricci degli algoritmi è dura assai, c’è da perdere la testa, forse anche da finire al pronto soccorso (qualche scatto sensazionale finito male, hai presente?) e, mi sembra logico, bisogna poggiare la propria attività professionale su qualcosa di più stabile. No, non fare quella faccia! Non voglio dire che devi fare i concorsi e prendere il posto fisso, non per forza. Mica sai solo far svolazzare i vestiti, usare il drone, usare le emoji. O sbaglio?
Conclusioni
E allora la conclusione qual è? Tutte queste riflessioni si applicano tanto al blogging personale sia al blogging aziendale. C’è bisogno di pensare a modi di abitare il web che entrino in sintonia, senza farsi fregare dalle interazioni facili. E qui, attenzione: non voglio sminuire i contenuti emozionali. Dico che si può fare emozionare (fare leva su bisogni più o meno profondi), ma poi bisogna accompagnare le persone dove ben sappiamo. Alla lunga i tacchi e vestitini sexy a Machu Picchu non funzionano, quindi facciamoci venire un’idea (seria).
Sì, niente “nicchia”: solo un Giardino Segreto piccolo, grazioso, nascosto, per pochi intimi, come i giardini dei palazzi antichi di Napoli che, da fuori, non sembrano nulla di eccezionale, ma dentro…
A presto!