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Canti del Mid-America, Sherwood Anderson

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L’America delle grandi piantagioni di granturco raccontata nei Canti del Mid-America da Sherwood Anderson.

Esistono libri – novelle, romanzi, poesie – che separati del loro contesto geografico perdono del loro significato più profondo. Credo che sia proprio il caso di Canti del Mid-America, raccolta poetica di Sherwood Anderson pubblicata negli Stati Uniti nel 1918 e nel 2014 da Corrimano Edizioni. 

Sherwood Anderson

Ammetto la mia profonda ignoranza del panorama letterario americano di fine Ottocento e inizio Novecento, ragione che mi ha spinto con maggiore curiosità a leggere la raccolta di Sherwood Anderson. Nato in Ohio, l’autore si arruolò nell’esercito, lavorò come copywriter, visse in diverse città statunitensi, tra cui Chicago e New Orleans; leggo che gli viene riconosciuta un’influenza verso altri celebri scrittori americani, come Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald.

La sua opera maggiore e la più conosciuta è Winesburg, Ohio, che mi riprometto di recuperare. Come dicevo poco fa, leggere Canti del Mid-America estrapolandoli dal loro contesto è privare i componimenti del loro portato filosofico ed emozionale più profondo. Per comprenderli bisogna avere una immagine mentale fissa ben precisa: la terra, coltivata e coltivabile.

Canti del Mid-America

Sherwood Anderson sa di essere nato dalla terra, dal sudore che imperla la fronte dei contadini. Il suo canto vuole dare voce a tutte le persone che ritrovano la propria origine nelle sterminate piantagioni di granturco. Il legame con la terra scura rappresenta, nei canti, la relazione più stretta tra gli uomini. Nel lavoro, nella speranza e nella fratellanza risiede la ragione di vita delle persone semplici, ricche di quello spirito che ama ciò che è essenziale nelle cose. Il canto di Sherwood Anderson si oppone all’industrializzazione, che uccide tale spirito primitivo e di verità.

Nella lunga casa dell’odio,

Nelle lunghe ore,

Nel giorno che non finisce mai;

Sopra i campi – volano i suoi capelli neri –

La mia signora

Terribile

Gigantesca

Scarna e deprimente.

( da Industrialismo)

Sherwood Anderson lo sa bene, perché il lavoro in fabbrica non gli è sconosciuto. Sa che l’Industria, compagna del Progresso, va in giro per le città come uno spettro, un cadavere ambulante che succhia via la vitalità dagli uomini e li lascia inconsistenti come involucri, colorando di grigio il mondo.

Il mondo grigio è silenzio, è la non voglia di manifestare un sentimento, la gioia, un desiderio. Le parole trattenute dentro formano dei grumi, si condensano nei polmoni e a restar lì arrugginiscono. Contro questo grande vuoto, si alza il canto di Sherwood Anderson, che ridipinge l’orizzonte del giallo del granturco e del nero della terra florida. 

Ai miei occhi Canti del Mid-America appare essere un grido di protesta, lucido e amaro, in cui comunque trova spazio un filo di speranza. 

2 commenti su “Canti del Mid-America, Sherwood Anderson”

    1. Bruna Athena

      Prima di leggere questi canti, non lo conoscevo nemmeno io. Mi sono stupita quando ho letto, in rete, che ha avuto influenze su Hemingway, Fitzgerald, Faulkner e Steinbeck. Sicuramente approfondirò meglio.

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