La natura selvaggia d’alta montagna è spettatrice della drammatica storia di solitudine che Claudio Morandini narra in Neve, cane, piede.
Neve, cane, piede è a tratti vera, a tratti di fantasia. Claudio Morandini lo racconta nella Storia di questa storia: Adelmo Farandola può essere uno dei tanti “eremiti” della montagna, una di quelle persone che ha scelto di vivere nella totale solitudine, lì dove a stento gli animali si avventurano.
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Neve, cane, piede: la trama
Adelmo Farandola vive in una malga, compresa in un vallone acquisto da lui e dal proprio fratello. La sua vita trascorre ogni giorno sempre allo stesso modo: si va a caccia, si fanno scorte per l’inverno, si dorme. La vita nel paese ad Adelmo non interessa: lui vuoi vivere solo, andare letteralmente in letargo durante l’inverno e allontanarsi dalle persone anche di più, quando arriva l’estate e arrivano fino alla malga anche gli escursionisti. Adelmo Farandola è anche più selvaggio di una bestia, che rifugge ogni contatto con i propri simili, dai quali si ritrae quasi disgustato. Il germe della follia già alberga nella mente dell’uomo, tanto che Neve, cane, piede ne risulta un racconto del tutto allucinato di un’esistenza condotta in condizioni a dir poco estreme e disumane.
Solitudine ad alta quota
Neve, cane, piede è un libro che si fa leggere tutto ad un fiato, nonostante, o forse soprattutto, perché è una storia decisamente drammatica. Non si può non venir colpiti dalla scelta irrazionale di un uomo di vivere in un ambiente inospitale fino all’estremo. Come ho già accennato, Adelmo Farandola è diventato quasi un primitivo, un essere bestiale. Nel libro le condizioni di vita del “vecchio” sono descritte in modo così particolareggiato da far salire la nausea.
La lettura di Neve, cane, piede provoca a tratti disgusto e a tratti profonda pietà. Mano a mano si scopre una realtà che va ben oltre la cocciutaggine e la trasandatezza di un uomo che – ipotizzo – non ha molto da aspettarsi dalla vita.
Adelmo inizia a parlare con gli animali, ed ecco spiegato il “cane” del titolo. Un piccolo bastardo lo accompagna durante l’inverno, è l’unico essere a tenergli compagnia. Il cane gli parla, scherza con Adelmo che ogni tanto torna a sorridere.
Egli vive in pieno il dramma della solitudine e della follia, segnato dalla perdita della memoria anche a breve termine, dell’uso agevole della parola, della capacità di considerare lucidamente quel che avviene attorno a sé.
È la solitudine estrema a rendere Adelmo bestiale. Mentre gli animali acquistano la facoltà di parlare, lui sembra perderla lentamente e inesorabilmente, tanto da sentirsi stupido quando gli capita di rapportarsi ai suoi simili. È un vero e proprio paradosso, raccontato da Claudio Morandini con la semplicità e la naturalezza che non solo rendono la lettura spedita e piacevole, ma ci fanno provare molta tenerezza nei confronti di Adelmo.
La realtà dei fatti è una sola: Adelmo ha la mente quasi vuota, occupata esclusivamente dal pensiero di sopravvivere in un contesto naturale affascinante e selvaggio, ma in cui non si percepisce altro che il rumore del ghiaccio che si spacca, della neve che crolla in valanga. Non c’è altro che silenzio. Resta il dubbio che davvero siano stati i cavi elettrici ad aver portato Adelmo alla follia. Questo è quel che egli crede, ma un pazzo sa di essere pazzo? E se Adelmo fosse semplicemente precipitato nella demenza?
Queste domande non trovano risposte, ma resta la consapevolezza che c’è una risposta affermativa a una domanda fondamentale: si può arrivare a essere così soli da non riuscire a impedire alla solitudine di avvolgerci completamente nel suo guscio impermeabile a qualsiasi suono?
Neve, cane, piede rientra nel novero di quelle letture, semplici e amare, apprezzabili per la capacità che hanno di indurti a riflettere. Sono contenta di aver beccato questo libro, per caso, in libreria solo pochi giorni fa. A presto,
Bruna Athena