Parliamo del tone of voice. Facciamolo, a partire da una domanda: perché scrivi? Per diletto, perché fa parte della tua professione? Sono convinta che se hai poca propensione ad adeguarti, scrivere di mestiere non è la tua strada. E, forse, nemmeno essere blogger “in modo serio” lo è.
Argomenti del post
Il tono di voce dà carattere alla scrittura
Dire che il tone of voice dà carattere alla scrittura equivale a dire che ogni forma di testo ha la sua personalità.
Se scrivi per lavoro, non ti è di certo sfuggito un elemento interessante: più fai esperienza e più diventa marcata la tua attitudine alla plasticità. Ogni copywriter ha il proprio grado di plasticità e questo dipende da tanti fattori. L’esperienza, prima di tutto, come ho già detto. C’è anche la propensione personale ad accettare alcuni “compromessi”.
Consapevole di ciò, dico che lavorare con la scrittura significa fare i camaleonti. La scrittura è espressione, ma muteresti forma? Se la risposta è negativa, forse questo non è il lavoro che fa per te.
Spero che tu scriva soprattutto perché nutri il desiderio di esprimerti, perché pecchi un tantino di egocentrismo.
Vale sia che tu scriva poesia sia che tu scriva narrativa o saggistica. Di conseguenza, è vero anche se hai aperto un blog personale. Il tuo blog personale sicuramente ha la tua voce e non quella di qualcun altro.
Scrivere è fighissimo, quando puoi trattare di ciò che ti interessa. Quando ti piace approfondire argomenti diversi, è ancora più allettante. Ma scrivere per lavoro si addice alla persona sia camaleontica sia curiosa. La curiosità è un dono molto bello, ma insidioso: una rosa con le spine.
Il mestiere di scrivere come arte di mutare
Uscendo dalla metafora floreale, il mestiere di scrivere è apprendimento costante. Impari tante cose, accumuli conoscenze tra le più disparate, ma ti tocca perdere il tuo stile e il tuo linguaggio, riuscendo a non perderti mai davvero.
Insomma, va benissimo il tuo tone of voice per la tua scrittura (leggi anche comunicazione), ma la personalità che ti distingue smette di andar bene se parli e scrivi per conto di altri, a un’audience differente da ciò che tu sei. Viene di conseguenza: il tone of voice del blog aziendale è per definizione diverso.
Non solo il tone of voice, eh. Tutto è diverso: il grado di semplicità della sintassi, il modo in cui costruisci le argomentazioni e crei l’impalcatura logica dell’argomento trattato, il lessico.
E bada a non guardare il dito che indica la luna: vuol dire che stiamo parlando di te come professionista della comunicazione. Ruolo che ti obbliga a:
- abituarti a scrivere in modo semplice;
- trattare i concetti in modo molto approfondito o in modo semplicistico, a seconda dei casi;
- usare linguaggi e stili che non ti sono sempre congeniali;
- rileggerti innumerevoli volte – in ogni caso!
Il mestiere di scrivere è l’arte di mutare e scomparire. Si tratta di nascondersi dietro a un velo di espressioni colloquiali o tecnicismi, proposizioni semplici, concetti espressi in modo banale.
Il pubblico d’elezione del blog personale ha delle caratteristiche. I pubblici dei tuoi clienti sono diversi, di volta in volta: più o meno istruiti, più o meno sensibili, più o meno attenti e consapevoli e così via. E devi adeguarti a loro.
Scompari, per riapparire nei contesti appropriati. Fai sparire tutto, azzera, muovendo sulla tastiera mani che non sono quasi più le tue. Hai altri modi per fare emergere il carattere che è in te.
Sì, è una dinamica di violenza fatta di periodi ridotti, vocaboli comuni, linguaggio da bimbominkia (quando serve), pure qualche banalità. Accetteresti di tollerare tutto questo?
Bruna Athena
Mi chiamo Bruna Picchi e sono web copywriter, content designer e social media strategist. Il Mondo di Athena è lo spazio digitale in cui condivido pensieri sulla comunicazione digitale, esperienze di viaggio e l’amore per la letteratura.
Se non scrivo, allora leggo. E se non leggo, allora scrivo.
C’è l’idea che chi scrive non abbia più bisogno di imparare; perché ha il dono, il talento. È un colossale errore: Tolstoj e Dostoevskij hanno imparato a scrivere fino all’ultimo dei loro giorni. Scrivere è un apprendistato continuo, guai se così non fosse.
E non hai citato persone qualsiasi 😀 grazie Marco!
Una cosa è imparare continuamente, altro è azzerarsi. Immagino tu abbia “calcato” il concetto, proprio per obbedire a quella volgarità (nel senso di fruibilità da parte del volgo) di cui parli, ma così come hai espresso il concetto non mi trova d’accordo. La semplicità può essere efficace senza scadere in banalità, e, piuttosto, in un mondo-web nel quale le banalità imperano, ogni tanto una penna un po’ più fine male non fa. Poi, certamente, uno opera una scelta: personalmente preferisco essere letta meno, ma sentirmi fiera della mia peculiarità, piuttosto che accumulare consensi dinanzi a una spiattellata di scontatezze. Anche perché, ricordiamolo, conta il “come”, più che il “cosa.” Il “cosa”, bene o male, è sempre quello, nulla si copia ma tutto si può riconfezionare.
Ciao Maddalena! Ho calcato i toni, indubbiamente; quando parlo di banalità, parlo di scelte di stile ben precise. Non so se hai notato, ma ho messo meno in rilievo il “blogging” e più il “mestiere”. Chi fa il web writer deve rapportarsi anche a un pubblico ignorante e oggettivamente capace di cogliere banalità: qualche volta, capita di doversi abbassare a certi livelli. Per quel che riguarda me e il mio stile in quanto blogger, mi trovi in linea con la tua filosofia: preferisco essere letta meno o, per meglio dire, essere letta da un certo tipo di pubblico, che non si accontenta di cose scontate. Grazie per il tuo commento e per aver condiviso con me la tua opinione!
Sai qual è la verità? Che oggi il web, democratico com’è, dà occasione a tutti. In effetti un po’ bisogna adeguarsi, forse io, a dirla tutta, il vero web-writing non lo amo molto, per quello che so obbedisce ad alcune regole che io infrango di continuo, ma non ce la faccio ad arrivare tanto in là coi compromessi. Il web è una grande opportunità, però non è triste che proprio i contenuti più banali siano quelli che vanno di più? (Lo vedo anche dai miei pezzi più semplici, le volte che butto giù cose immediatamente fruibili). Grazie a te 🙂
Purtroppo sono i lettori che vogliono banalità, ecco perché i contenuti che reputiamo banali sono più di successo. Vien da sé, se vuoi un altro pubblico, non puoi aspettarti lo stesso successo: è tutto relativo, proporzionato direi. Alla prossima!
Non sono affatto d’accordo. Perché mai uno si dovrebbe far violenza e usare espressioni più sciatte, modi di dire scorretti ma amati da un maggior numero di lettori? Chi ti obbliga? Ne dipende forse la tua vita? Con il blog ti ci paghi il cibo e l’affitto?
Se fosse così, sinceramente io preferirei guadagnarmi da vivere stappando fogne e continuare a scrivere in un modo che rispecchia il mio pensiero e la mia personalità – anche se piace a meno gente. Lo trovo molto più dignitoso, e potrei camminare con la testa in alto. L’unico lavoro di cui ci si deve vergognare è il lavoro che fa tradire i propri principi.
Caro Irmar, qui non si parla semplicemente di blog personale. Il blog personale può e non può monetizzare – dipende da diversi fattori – e rispecchia il nostro modo di essere, i nostri interessi: non bisogna tradire se stessi. Il mio post, invece, vuole puntare l’attenzione sulla scrittura in quanto mestiere, che è un’altra cosa. Quando si gestisce la comunicazione di un brand, attraverso vari mezzi di comunicazione, non possono prevalere le preferenze personali, perché quello che conta è arrivare al pubblico. Se, per assurdo, il pubblico comprende la scrittura dei bambini delle elementari, si è necessitati a comunicare in tal modo. Questo è il compito di chi si occupa di scrittura per aziende e se un writer non comprende questo, ha sbagliato mestiere, quindi è meglio che vada pure a stappare le fogne se è il caso 😉 Grazie per il commento.
Un post duro il tuo ma c’è del vero. A chi conviene scrivere se poi non si viene letti o non si parla il linguaggio del pubblico? Mi è piaciuta la tua riflessione sulla necessità di adeguarsi e cambiare. Bel post!
Grazie Fiorella! Il mio discorso è comunque vasto e non riguarda solo il blogger, ma soprattutto il web writer: in tale veste, bisogna necessariamente “sparire” e l’esperienza in merito me lo ha insegnato!
Il tuo post è molto interessante. È assolutamente vero che il mestiere di scrivere richiede un’attitudine al cambiamento e all’adattamento (a seconda del pubblico, dello stile, del contesto), ma sono d’accordo con Maddalena quando dice che il web ha dato a tutti l’opportunità di essere scrittori. E questo è un po’ demoralizzante per chi ama la scrittura, la esercita da anni, l’ha studiata, ed ogni giorno ha occasione di esercitarla e dilettarsi nella “plasticità” di questo mestiere. Nonostante ciò, se il web è democratico la scrittura lo è ancor di più e, in un veloce colpo d’occhio, ti dice chi è scrittore e chi, invece, non lo è. Perché potrai anche farti leggere da milioni di “bimbiminkia”, ma se non sai usare la punteggiatura, o l’apostrofo, o i puntini di sospensione… Allora no, non sei uno scrittore. 🙂
Esatto Clara! Il mezzo è apparentemente democratico, perché ogni pubblico sceglie il proprio “idolo”, ma solo pochi conservano davvero la propria fama di scrittori. Naturalmente, chi come me si occupa di scrittura commerciale, deve ragionare in modo decisamente diverso da come ragiona un romanziere.
Ciao! Innanzitutto complimenti per il blog mi piace un sacco! E poi scrivere per…io per bisogno e per sopravvivenza. Se non lo faccio sto male.