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Lettera a Grazia Deledda

lettera a grazia deledda

Cara Grazia,

ti ho scoperto la prima volta a 18 anni circa. Ho deciso di leggere il tuo romanzo più famoso un po’ prima dell’esame di Stato. Sarà anche stato il tempo della maturità, ma forse per i tempi non erano maturi per niente.

Non è la prima volta che devo ammettere di aver preso alla leggera una lettura, purtroppo. Canne al vento a quel tempo non era una di quelle storie capaci di colpire la mia sensibilità. Se lo rileggessi cambierebbe la mia opinione sul tuo libro? Può darsi. Sta di fatto che di quella esperienza non ricordo nulla, se l’avvicinarsi di un ospite indesiderato: l’angoscia.

A pochi giorni dal conseguimento della maturità, in chiusura di un percorso scolastico, che di lì a poco ne avrebbe aperto uno nuovo e che immaginavo brillante, cosa poteva mai importare a me delle ansie dell’uomo e della vulnerabilità dell’esistenza umana? Niente. Non me ne faccio una colpa, perché era del tutto normale che questi pensieri fossero tanto distanti da me.

Sono poi trascorsi gli anni, ho visto andare alla deriva alcuni miei sogni e ho potuto constatare che raramente le cose vanno proprio come vuoi. Diamo il benvenuto alla signora ansia!  Ansia è arrivata diverso tempo dopo il mio primo incontro con te, Grazia, quando il mio modo di vedere la vita e pensare al futuro era ormai del tutto cambiato. Ho iniziato ad avvertire l’inquietante presenza di un pensiero ricorrente, un interrogativo angosciante: e se non dovessi farcela? se fossi destinata a fallire sempre?

Che presenza ingombrante questo pensiero! Forse non me ne sono ancora del tutto liberata. Mentre esso veniva ad abitare dalle mie parti, ho avuto modo di rileggerti. Un giorno mi è capitato Cenere sotto agli occhi, ho deciso di leggerlo e darti un’altra possibilità.

Cenere mi ha fortemente impietosita e affascinata. Mi ha intenerita la storia dell’ennesima donna beffata da un uomo, abbandonata da tutti e alla quale la vita sfugge dalle mani. È proprio il fatto che possa accadere questo nella vita delle persone che mi turba profondamente, come l’idea che i nostri sforzi non vengano mai ripagati. Mi ha affascinata perché hai raccontato della Sardegna che ho tanta voglia di conoscere: selvaggia, primitiva, dura. La tua Sardegna è lontanissima da quella dei locali chic, che su di me non suscita la benché minima attrattiva.

Ho tanto apprezzato il tuo libro perché hai voluto chiuderlo dando speranza al lettore. Mi è rimasta impressa nella mente l’immagine di una scintilla che brucia tra la cenere, riaccendendo il fuoco. Nonostante Cenere sia un racconto triste, amaro e doloroso, ho percepito chiaramente nelle ultime pagine il calore che solo coraggio e tenacia emanano. Abbiamo di gran lunga superato quella sensazione frustrante di essere in balia del vento, non trovi?

Con profonda ammirazione e rispetto,

Bruna

 

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