Ciao lettore, oggi voglio darti un piccolo suggerimento di lettura. Si tratta di un libricino, La morte del bosco. Sono tre racconti dello scrittore polacco Reymont Wladyslaw, raccolti in questi piccolo libro pubblicato dalla casa editrice Imagaenaria di Ischia. Fa parte di una collana di opere brevi, intitolata Opere da tre soldi per quattro gatti.
La morte del bosco: chi è Reymont Wladislaw
Reymont Wladislaw ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1925. Non fu un letterato, almeno non nel senso proprio della parola. Nella sua vita fece diversi lavori, tra cui il casellante e il medium per uno spiritista: il suo unico titolo di studio lo abilitava a fare il sarto. In altre parole, la vita di Reymont Wladyslaw fu puttosto irrequieta e segnata dalla grande passione per la lettura. Possiamo forse dire che è da questo amore che è nato il desiderio di scrivere e di raccontare il mondo della umile della gente delle campagne. La sua opera più conosciuta, la stessa che in un certo senso gli ha fatto vincere il Nobel, è I contadini.
I racconti di La morte del bosco
La morte del bosco è una raccolta di tre racconti, che prende il nome dall’ultimo di questi. A Reymont Wladyslaw viene attribuito uno stile di scrittura molto realistico e naturalista: è proprio così. I tre brevi scritti descrivono il mondo rurale polacco fatto di persone umili, pragmatiche ed indurite da una vita difficile.
Nel primo racconto la povertà materiale e anche d’animo delle persone ci viene sbattuta in faccia con forza. I legami di sangue sono deboli, davanti alle necessità. Nel secondo racconto i protagonisti sono due ragazzini, che pagano sistematicamente il prezzo del loro desiderio di andare oltre il proprio status sociale. In contrapposizione alle regole sociali umane, la scena della cagna che tenta di tutto pur di salvare i propri cuccioli dimostra quanto il mondo animale sia molto più “umano”, talvolta. L’ultimo racconto, La morte del bosco, affronta il tema dell’abbandono e dell’emigrazione: molto attuale, senza dubbio. La morte del bosco è simbolica: se devono andare via le persone che in un certo senso hanno dato vitalità ad un luogo, allora suddetto luogo muore, appassisce. Con questa sensazione, i protagonisti di questo terzo e triste racconto s’incamminano pieni di nostalgia e di risentimento verso chi non ha fatto nulla per impedire che la povertà li costringesse a cambiare dimora.
Il mondo rurale di Reymont Wladyslaw è brutale. La morte del bosco è un concentrato di grettezza e violenza, molto spesso più femminile che maschile – il dato mi ha turbata non poco. Il suo stile ricorda moltissimo il verismo di Verga e ti consiglio la lettura delle opere di questo premio Nobel soprattutto se ti piacciono quelle storie narrate con disincanto, senza l’intenzione di indorare la pillola. Storie nude e crude, insomma. A presto,
Bruna Athenaa