Oggi ti becchi la recensione di Un matrimonio fuori città, piccolo romanzo di Franklin Tavora, giornalista e scrittore brasiliano, nato a Baturité nel 1842. Per questa recensione devi ringraziare la casa editrice Arcoiris e la sua interessantissima collana chiamata Gli Eccentrici, nella quale vengono pubblicati romanzi e racconti di scrittori minori del Sud America. E tu sai quanto io ami la letteratura sudamericana. Non potevo non procurarmi alcune di queste pubblicazioni, dato che sono autori mai letti prima e non pubblicati.
La caratteristica della collana Gli Eccentrici non sta esclusivamente nel suo essere costituita da opere sudamericane, ma consiste anche nel tipo di atmosfera che queste opere sono in grado di creare. Non si ha a che fare con i tipici romanzi alla Gabriel Garcia Marquez o alla Isabel Allende, piuttosto potrai fare esperienza di un qualcosa di inquietante. Non si tratta, almeno non sempre, di racconti dell’orrore, ma di storie dall’alto contenuto ansiogeno, carichi di tensione. Bisogna dire che anche le copertine sono molto curate in questo senso: le illustrazioni sono suggestive e…sì, inquietanti e per questo mi restano impresse.
Un matrimonio fuori città è una semplice storia come tante: due giovani innamorati ostacolati dalla famiglia – in questo caso quella di lui – tentano, contro tutto, di realizzare il loro sogno d’amore, grazie all’intesa della madre di lei. Non ho scelto questo libro a caso, ovviamente: sono sempre molto colpita dalle storie di amori contrastati e difficili. Tuttavia, niente crea in me disappunto, se non angoscia, l’idea che qualcosa separi inesorabilmente e per sempre due persone che si amano profondamente. In realtà, in Un matrimonio fuori città tutto è bene quel che finisce bene…più o meno.
Ora devo un po’ spoilerare, purtroppo. Il matrimonio si fa e, anche se con difficoltà, anche il padre di lui si appacia e tutto sembra volgere per il meglio. Nonostante questo, la madre della sposa, Donna Emilia, ci lascia le penne ben presto. Questo fatto, seppure brevemente accennato, è importante. Che nel racconto le parole del narratore siano spesso a carattere maschilista non ci piove: del resto, siamo nel Brasile dell’Ottocento. Mi pesa la mia striminzita conoscenza dell’autore, di cui so esclusivamente che attraverso la sua opera giornalistica e letteraria ha voluto diffondere l’ideale di un paese e di una regione, il Pernambuco, indipendenti ed autonomi anche dal punto di vista culturale.
Non conoscendo a fondo il pensiero di Tavora, non posso dire se c’è nella morte di Donna Emilia una sorta di “punizione” per il suo voler essere una donna intraprendente ed autonoma. Nella post-fazione viene avanzata la stessa ipotesi, tuttavia mi chiedo se non sia, la morte di Donna Emilia, una sorta di metafora negativa che rappresenterebbe la “morte” dello spirito culturale brasiliano di fronte alla ricezione e all’assorbimento della cultura estera – l’erba del vicino è sempre più verde, come si suol dire. Sono queste le chiavi di lettura possibili dell’epilogo di questa storia, che costantemente ti mette l’ansia per un matrimonio che temi sempre non si riesca a celebrare. E per me il pensiero di un matrimonio ostacolato è tremendamente ansiogeno! Alla prossima lettura,
Bruna Athena
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