Ciao lettore! No, non ho riletto Gita al faro – cosa che ho fatto in autunno – ma mi son ritrovata a farne tra me e me alcune considerazioni ulteriori su questo romanzo.
Riflessioni a scoppio ritardato, in effetti. Ne ho già parlato di Gita al faro in un altro post, in cui ho messo in risalto la maestria di Virginia Woolf nel ritrarre la complessità dell’animo e delle relazioni umane.
Non sono solita parlare della trama dei libri – quando lo faccio è perché, forse, non mi hanno fatta riflettere molto – ma devo questa volta farne accenno. In Gita al faro la famigerata gita al faro non si fa, non almeno quando i Ramsay desiderano farla. Il signor Ramsay è il primo ad affermare che non sarebbe stato possibile farla: la moglie e i figli iniziano a detestarlo per questo. A dire il vero, non solo per questo: Ramsay è percepito come una sorta di tiranno, un uomo che deve sempre averla vinta sempre. Poi la gita al faro si farà, ma intanto saranno cambiate tante cose e non sarà più lo stesso.
Fermo restando che non ne ho la più pallida idea di quale sia l’interpretazione ufficiale di Gita al faro – né la cosa mi interessa – io credo che la gita che non si fa più rappresenti assieme un sogno che svanisce e/o un’occasione perduta: è la metafora di quanto può oggettivamente accadere nella vita di tutti. Il signor Ramsey, con il suo razionalismo e realismo a tutti i costi, rappresenta la voce di chi dice che il sogno non si realizzerà, è la paura di rischiare che ti impedisce di cogliere l’occasione, è la regola sociale che ti bacchetta quando inizi ad essere consapevole che ciò che vuoi tu non è accettabile, per gli altri.
Sono trascorsi mesi da quando l’ho letto e, alla fine, io Gita al faro l’ho percepito così.
Alla prossima!
Un bel punto di vista.
I see the sun – Incognito